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 2011  gennaio 04 Martedì calendario

LA FRAGILITA’ DEL FARAONE

Se è vero che la sofferenza rafforza la fede, venerdì i copti egiziani celebreranno con particolare fervore il loro Natale. Alla rabbia delle ultime ore sostituiranno la preghiera, piangeranno i loro morti, affolleranno anche quella chiesa dei Santi di Alessandria dove la notte di Capodanno l’odio confessionale è tornato a colpire. Saremo loro vicini, perché la persecuzione delle minoranze cristiane in molte società islamiche non può e non deve lasciarci indifferenti. Ma nel caso dell’Egitto esiste anche un altro aspetto che la prudenza consiglia di non trascurare: il kamikaze di Alessandria, oltre a fare strage di copti, ha forse voluto collocare una bomba a orologeria sotto il trono presidenziale di Hosni Mubarak. Per individuare il pericolo occorre tornare alle elezioni parlamentari egiziane di un mese fa. Il raìs, ottantaduenne e malato, consumato da trent’anni di potere, sapeva che le presidenziali in calendario per il 2011 non sarebbero state la solita formalità. Occorreva porsi seriamente il problema della successione. E allora tanti saluti alle cautissime aperture democratiche del 2005 imposte da Bush, e pazienza anche per quell’Obama che proprio al Cairo era venuto a predicare un islam più aperto: dalle urne l’accorta regia degli uomini del presidente ha fatto uscire una assemblea dominata da un virtuale partito unico, capace di gestire senza traumi l’ormai vicino passaggio di poteri. Lo scettro passerà dal padre Hosni al figlio Gamal, come avrebbero fatto, appunto, i faraoni? Oppure l’anziano presidente si farà rieleggere, rendendo automatico il subentro di Gamal in caso di morte o impedimento? O ancora, se Gamal sarà giudicato da alcuni troppo vicino al mondo dei grandi affari, sarà il potente ma fedelissimo generale Omar Suleiman ad emergere? Non tutti i giochi sono ancora fatti, ma il mese scorso Hosni Mubarak ha comunque lanciato un messaggio chiaro: la successione è cosa mia, e non saranno tollerate interferenze democratiche o pluralistiche. L’Occidente ha guardato dall’altra parte. Troppo preziosa è la stabilità interna dell’Egitto. Indispensabile è il suo ruolo di moderazione nella crisi mediorientale, malgrado la mancanza di risultati concreti. Irrinunciabile è l’argine del Cairo contro i fondamentalismi più o meno qaedisti che ormai si annidano nel Maghreb e nell’Africa subsahariana. E quanto ai Fratelli musulmani, certo, hanno avuto una evoluzione incoraggiante, ma sono sempre l’altro braccio di Hamas. Insomma, la Realpolitik imponeva un mese fa e impone oggi alle democrazie occidentali — Italia in prima fila— di tapparsi il naso e sperare che il raìs azzecchi l’erede. Peccato che in questa complessa manovra Hosni Mubarak e il suo gruppo di potere conservino un fianco scoperto: quello del potenziale destabilizzante degli scontri inter-religiosi. Degli islamici radicali che si contrappongono ai Fratelli musulmani soprattutto ora che questi hanno solidarizzato con i copti. Dei qaedisti che vogliono colpire i cristiani simbolo delle degenerazioni occidentali. Di una galassia fatta di minoranze corpose ma anche di gruppuscoli fanatizzati che non di rado nella storia egiziana ha innescato spirali distruttive come quella che portò all’assassinio di Anwar Sadat. Ora si tratta di ereditare, non di uccidere. Ma la partita non sarà per questo meno serrata, e le lotte interconfessionali potrebbero tentare chi vuole dar fuoco alle polveri.
Franco Venturini