Enrico Fierro, il Fatto Quotidiano 4/1/2011, 4 gennaio 2011
SPIE, SATANA E BUFALE
Microspie virtuali, patacca, buone per i tg e utili per gridare al complotto. Microspie vere, serie, da guerra fredda. “In Vaticano è entrato Satana”, esclamò papa Wojtyla quando l’intelligence vaticana ne scoprì una proprio nelle sue stanze. Era efficientissima e l’avevano piazzata in una radiolina che il Pontefice teneva sempre accanto a sé. Erano i “Servizi” dell’Est che spiavano il Papa polacco. Da Mosca agli States, passando per via Veneto, strada romana di quella che fu la Dolce Vita, ma anche dell’ambasciata americana. 1976, Enrico Berlinguer è segretario del partito comunista più forte del mondo occidentale, la sua via all’eurocomunismo allarma Mosca, preoccupa gli ambienti della destra statunitense, incuriosisce le diplomazie più aperte. Il Dipartimento di Stato vuole capire e il miglior modo per farlo è captare le conversazioni del leader comunista italiano. Che verrà spiato dal 1976 al 1984. Ore e ore di colloqui registrati, riflessioni, incontri. Gli analisti dell’intelligence Usa rimarranno a bocca aperta ascoltando i giudizi sferzanti di Berlinguer e degli altri dirigenti del Pci sull’Unione sovietica e sulla sua politica. Erano anni di fuoco e il Pci era un partito allenato a guardarsi da spie e spioni. Berlinguer non si sentiva sicuro nei suoi uffici di via delle Botteghe Oscure, né a casa sua, per questa ragione quando si trattava di trattare argomenti sensibili sceglieva di farlo a casa di Tonino Tatò, giornalista, intellettuale raffinato e suo braccio destro. Tatò abitava in una casa piccola al centro di Roma che gli agenti della Cia imbottirono di cimici e microspie.
Una costante della vita politica italiana, dove la “cimice” occupa un ruolo di primo piano. Dal caso Montesi ai fascicoli illegali raccolti dal Sifar del generale De Lorenzo, agli archivi di Licio Gelli fino al dossieraggio Telecom, il destino di singoli uomini politici, ma anche di partiti e governi è stato spesso condizionato dall’orecchio indiscreto e illegale che ascolta tutto e tutto registra. È il dicembre del 1993 quando la Lega, allora movimento in ascesa, fa il suo primo incontro con il grande fratello. Cimici vengono trovate nella sede milanese di via Arbe, negli uffici della Camera (a denunciarlo è Roberto Maroni) e nella stanza da letto del senatùr. “Spero soltanto che a piazzarla – dice Bossi, all’epoca uomo dai modi spicci, tutto canottiere e osterie – non siano stati Servizi segreti, ma alcuni democristiani e pidiessini, cornuti dalla nascita”.
Passano appena tre anni e anche Silvio Berlusconi trova la sua microspia. È l’11 ottobre 1996 e il leader del Polo appare in tv a reti unificate. Il volto tirato, l’espressione di chi sta per fare un grave annuncio, un aggeggio in mano. Una scatoletta nera, dei fili pendenti, qualcuno l’aveva piazzata dietro un termosifone negli uffici di via del Plebiscito a Roma, allora residenza privata del premier. Gli esperti storcono il naso, quell’”attrezzo” è troppo grande per essere una cimice seria. Berlusconi grida al complotto, la magistratura indaga. Bobo Maroni insinua il sospetto: “Quella cimice Berlusconi se l’è messa da solo”. Ai pm arriva anche un anonimo che indica in un parlamentare di Forza Italia il “committente” della microspia, dentro il partito la cosa fa scalpore e si fa a gara a fare nome e cognome dello “spione”. Alla fine si scopre che la scatoletta nera era un autentico italico bidone confezionato dal titolare della ditta incaricata proprio da Berlusconi di “bonificare” i suoi appartamenti.
Bufale, cimici che appaiono e scompaiono (nel 1993, Bruno Tabacci ne trova una nell’auto, la raccoglie e la butta via, poi dà l’annuncio ai giornali), cimici che servono anche a lanciare avvertimenti. Chi spia le vite degli altri non ti molla. Gennaio 2000, nell’ufficio di Pierferdinando Casini viene ritrovato un involucro di plastica con dei fili, è in grado di captare conversazioni, dicono gli agenti della Digos. 30 dicembre dello stesso anno, una microspia viene ritrovata negli uffici della Regione Lombardia. “Non è roba nostra”, dichiara Gerardo D’Ambrosio, allora procuratore capo di Milano. Perché questo il punto, il governo che si appresta a tagliare le gambe a intercettazioni e microspie legali, fa poco o nulla contro le cimici illegali, quelle della fabbrica dei ricatti.