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 2011  gennaio 04 Martedì calendario

«Col 51% dei no a Mirafiori ritiriamo l’investimento» - Dottor Marchionne, ha visto tutte quelle firme al Giornale di suoi operai a so­stegno del posto di lavoro e contro chi strumentalizza politicamente i contrasti tra la Fiat e una parte del sindacato? «Ho visto - risponde l’ammi­nistratore delegato di Fiat Spa e presidente di Fiat Industrial, subito dopo aver battezzato, in­sieme a Raffaele Jerusalmi, ceo di Borsa Italiana, la quotazio­ne di camion e trattori a Piazza Affari - e apprezzo quello che queste persone hanno fatto

«Col 51% dei no a Mirafiori ritiriamo l’investimento» - Dottor Marchionne, ha visto tutte quelle firme al Giornale di suoi operai a so­stegno del posto di lavoro e contro chi strumentalizza politicamente i contrasti tra la Fiat e una parte del sindacato? «Ho visto - risponde l’ammi­nistratore delegato di Fiat Spa e presidente di Fiat Industrial, subito dopo aver battezzato, in­sieme a Raffaele Jerusalmi, ceo di Borsa Italiana, la quotazio­ne di camion e trattori a Piazza Affari - e apprezzo quello che queste persone hanno fatto. Ri­tengo sia un riconoscimento al­la validità di quello che stiamo portando avanti. Non ho inten­zione di ritirare il piano per Mi­­rafiori: impegno e progetto per produrvi modelli Alfa Romeo e Jeep esiste. Quello che non pos­so fare è convincere le persone a lavorare in fabbrica». Alla Fiom sono convinti che se al referendum sul­l’accordo di Mirafiori pre­valessero i «no», anche con il 51%, lei si rimetterebbe al tavolo. In pratica, si rico­mincerebbe tutto da capo. «Se vince il “no”con il 51%la Fiat non farà l’investimento su Mirafiori». Pensa che per il prossimo giugno il piano Fabbrica Italia,con i 20 miliardi d’in­vestimento previsti, possa decollare? «Ritengo offensivo che mi si continuino a chiedere i detta­gli del piano. Se un manager ar­riva dall’estero con un asse­gno di 5 o 10 miliardi per inve­stire qui, si fa solo un favore a non importunarlo. Il piano, in­fatti, lo finanzia lui e darà bene­fici al Paese. Dico solo che Mi­rafiori è inclusa in questo pro­getto. Nei giorni scorsi, insie­me all’allora presidente Lula, ho inaugurato una nuova no­stra fabbrica in Brasile. E nes­suno si è permesso di chiedere spiegazioni sulle risorse desti­nate nei prossimi cinque an­ni ». Quindi, togliendo gli inve­stimenti su Pomigliano d’Arco e Mirafiori, resta il top secret sugli altri 18 mi­liardi. «Smettiamo di comportarci da provinciali. Questi 18 mi­liardi, quando arriverà il mo­mento, li metteremo. I sinda­cati sono bravi a criticare; eb­bene, vadano in giro per il mondo come facciamo noi a chiedere finanziamenti». Che cosa risponde a chi ri­tiene anticostituzionale la­sciare un sindacato (la Fiom, in questo caso) fuori da una fabbrica? «Io non ho lasciato fuori nes­suno, sono assolutamente tranquillo. Il discorso è rima­sto aperto per settimane. Se qualcuno ha deciso di non fir­mare l’accordo è perché non lo ha voluto». Qualcuno descrive lei co­me un ricattatore. Gira an­che la vignetta di un «Mar­chionne- Dracula»... «Ho letto, e ho visto anche quella». Tante polemiche, comun­que, durante le festività di fine anno... «Guardi, abbiamo chiuso tutto prima di Natale, dando il massimo possibile. La nostra coscienza è pulita». E Federmeccanica? «Ha come obiettivo quello di tenere insieme la struttura. Ma Fiat deve andare per i fatti suoi, ha piani molto chiari. Cerche­remo di rimanere nel contesto di Confindustria e Federmec­canica, di fare la nostra parte. Ma la Fiat ha bisogno di libertà gestionale, deve portare avanti i suoi progetti. Non possiamo essere condizionati da accordi che in questo contesto globale non hanno più significato». E una Confindustria orfana di Fiat? «Come probabile non la ve­do, come possibile sì». Come giudica il ruolo del governo nelle trattative in corso? «Molto incoraggiante. Ci ha assicurato tutto l’appoggio ne­ces­sario per portare avanti il di­scorso, riconoscendo quello che la Fiat faceva di buono il Paese. A me è bastato quello». Perché tutto quello che lei sta facendo ora, dallo scor­poro del gruppo alla volon­tà di potenziare il sistema industriale in Italia, la Fiat - cioè i suoi predecessori ­non lo hanno fatto in passa­to? «Non lo so. Nel 2004, quando sono arrivato, era impossibile farlo. Non esisteva la stabilità fi­nanziaria del settore automoti­ve che, quindi, non stava in pie­di. Adesso c’è un’azienda diver­sa, come ha dimostrato la capa­cità di reggere a 12 mesi molto duri in Europa. Il gruppo ha agi­to bene. E per Fiat Industrial ve­do un futuro solido, capace di fare chiare scelte strategiche. Oggi è una grande giornata». Però, che sofferenza: il tor­mentone spin-off andava avanti da anni. «In verità se ne parla da otto mesi. E lo abbiamo fatto. Non è male...». Siamo a Palazzo Mezzanot­te. È diversa l’atmosfera che lei respira quando si trova a Wall Street? «Il mercato italiano è efficien­te, al pari di quello americano. Non vedo probemi». Fiat al 51% di Chrysler già quest’anno? «Ci sto pensando, ci penso sempre. Se Chrysler va in Borsa nel 2011 dovremo accelerare l’opzione, dipende dal timing della quotazione che dovrebbe verificarsi nella seconda metà dell’anno».