MARCO VALLORA, La Stampa 4/1/2011, pagina 32, 4 gennaio 2011
I mammozzoni di Modì scherzo da Zeri - È inevitabile che, in occasione della bellissima mostra al Mart di Rovereto, dedicata prevalentemente al riesame delle sculture di Modigliani, si tornasse a favoleggiare della burla di Livorno, e dei tre falsi, prima uno, poi altri due, ritrovati nel 1984, nel fossato ove li avrebbe gettati l’emotivo, insoddisfatto «Dedo» (così, al momento della «pesca miracolosa», lo chiamavano confidenzialmente tutti; usando iperboli sacre, del tipo: «Ecco i capolavori salvati dalle acque»)
I mammozzoni di Modì scherzo da Zeri - È inevitabile che, in occasione della bellissima mostra al Mart di Rovereto, dedicata prevalentemente al riesame delle sculture di Modigliani, si tornasse a favoleggiare della burla di Livorno, e dei tre falsi, prima uno, poi altri due, ritrovati nel 1984, nel fossato ove li avrebbe gettati l’emotivo, insoddisfatto «Dedo» (così, al momento della «pesca miracolosa», lo chiamavano confidenzialmente tutti; usando iperboli sacre, del tipo: «Ecco i capolavori salvati dalle acque»). Parola della sua vestale Daria Durbé, che da anni chiedeva di dragare quella melma. E melma fu, drammatica: spalmata sull’intellighenzia critica italiana, che s’era esposta precipitosamente, forse anche tentata dalla celebrità tv, dal momento che quelli erano i prodromi della società dello spettacolo. Ci caddero quasi tutti: da Durbéfratello (che imbastì un catalogo in tempi-record) sino a troppi esperti, svergognati. Solidarietà d’un clan, che riponeva fiducia reciproca? I ciechi di Breughel, che si trascinano a catena nell’abisso? Da Argan a Brandi, da Enzo Carli, autorevole esperto di scultura toscana, al veterano Ragghianti, che purtroppo esagerò in emotività: «Poche storie: non solo sono commoventi, ma fondamentali, per la storia della modernità». Un modo di risarcire le amarezze del povero Dedo, che irritato dall’incomprensione degli amici del Caffè Bardi aveva annegato tutto, come un assassino: pietre, scalpello e carretto notturno? Se n’è riparlato anche al convegno commemorativo su Argan, proprio per verificare se regge ancora l’ipotesi che il grande critico-filosofo, maestro di trame speculative, fosse poi davvero così «cieco», a livello attributivo, come ha sempre sostenuto il suo nemico Zeri. Certo Argan si espose, dapprima riluttante, poi perseverò, sostenendo la probabile «autenticità», confortato pure dalle perizie dei taglienti, beffardi tagliatori carraresi, favorevoli, e di scienziati che assicuravano esser state nell’acqua da decenni. Poi, quando vennero alla luce i quattro giovani burlatori, e diedero dimostrazione-tv con Black & Decker del loro falso, unico, credette di salvarsi, con la sua proverbiale sofisticità. Sostenne d’aver alluso solo a «interesse filologico» e non all’«importanza artistica», non avendole analizzate dal vivo, e ricorrendo a una felicissima, astuta immagine autoassolutoria: «Come se Leopardi avesse gettato nel cestino una sua poesia non riuscita». Furono in molti a parlare d’una trappola calcolata, d’un vero complotto, per screditare l’inattendibile, saccente classe degli storici dell’arte, tentata dai flash televisivi. «Una miserabile macchinazione» proferì Vera Durbé, tragica figura pirandelliana, che parve crollare, alla consegna dei giovani d’un rullino a Panorama , che provava la loro sarcastica paternità. Ricoverata in ospedale, continuò a ripetere che «quelle erano di Dedo», e i ragazzi dei bugiardi prezzolati. Pilotati da chi? Nell’ombra, ma non troppo, Zeri, che da decenni svergognava goloso perizie di nobili colleghi e rispettabili falsi di celebri musei, vide materializzarsi in un istante la felice, maligna occasione règia di coronare e santificare il suo demone: quello dei «mammozzoni» sputtananti. Era una sua formula, profetica. Ed eccoli balzar fuori dal fango, come dei misirizzi, ad applaudirlo. Prima uno, poi due, poi tre. Persino i ragazzi erano turbati, loro ne aveva gettata una sola. Bisogna esser rispettosi coi defunti, evitando di attribuire loro intenzioni che non possono più smentire. Ma certe impressioni sono difficili da cancellare, ed è anche importante condividerle. Si allude a un’impressione fugace, però condivisa da altri. Ricordo che, chiacchierandone, provai a far cadere Zeri in trappola, cosa non facile. «Allora, è venuto a galla che è lei l’ispiratore della burla». Lui s’inscurì non poco, come scoperto, borbottò qualcosa come «Lei come ha fatto a...», poi deviò, turbato: «Chi glielo ha detto? È una calunnia, non si permetta». Capii che era meglio non alluderne più: la sola orma del sospetto lo inquietava. Per non esser coinvolto in qualcosa che stava prendendo pieghe giudiziarie (le mosse furenti della figlia dell’artista, Jeanne, che curiosamente aveva ricevuto una lettera anonima, a Parigi, col timbro che coincideva con il giorno stesso dell’agnizione. Strano). Qualche indizio di coinvolgimento? A distanza di troppo poche ore dalla scoperta delle ruspe, e nell’entusiasmo generale, sulla Stampa , non Zeri ma il suo amico e sodale Mario Spagnol (anche lui scomparso) scrisse un curioso articolo, in cui non si limitava a sostenere, più che tempestivo, l’ipotesi dei tre falsi, ma li inquadrò tra le grandi beffe storiche (che coinvolsero artisti quali Michelangelo o Mengs, abbindolando persino Winckelmann). Il problema per lui non era tanto svelare il falso, ma denigrare i critici, invisi a Zeri (unico salvo, l’amico comune Briganti). Spagnol, sostenitore del Vernacoliere , nato a Lerici, pare conoscesse il portuale-artista Froglia, che aveva prodotto, di suo, gli altri due falsi ripescati, la cui agnizione allarmò persino gli studenti: burlatori burlati. In tv, minaccioso, Zeri lo invitò a cantare. Chi aveva dato lo spunto, chi progettato di svergognare gli esperti, chi suggerito i modelli? Curiosamente Spagnol non citò l’unica verità critica, che poteva indurre il sospetto: in quegli anni livornesi, Dedo non poteva esser già così moderno, prima di conoscere Brancusi e il primitivismo parigino. Stranamente domato, Zeri, il denigratore, firmò persino la petizione per reintegrare alla Gnam il povero Durbé, licenziato per indegnità. Per distrarre i sospetti? O perché pentito?