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 2011  gennaio 04 Martedì calendario

In Sudan la rivoluzione della secessione cristiana - Nel Sud Sudan, balcone ciclopico dove l’Africa scende a bere il Nilo, la guerra contro i musulmani è antica, l’odio per «l’arabo» da sempre nemico e assassino, perfetto in ogni vizio, corre nelle vene e brucia il sangue

In Sudan la rivoluzione della secessione cristiana - Nel Sud Sudan, balcone ciclopico dove l’Africa scende a bere il Nilo, la guerra contro i musulmani è antica, l’odio per «l’arabo» da sempre nemico e assassino, perfetto in ogni vizio, corre nelle vene e brucia il sangue. Nella memoria è infissa la consapevolezza che Islam significa davvero «sottomissione». Era così nell’Ottocento, quando Gordon Pascià, singolare figura di imperialista ossessionato dalla santità (e dal whisky), e Romolo Gessi, Garibaldi esotico che voleva rigenerare l’Africa con l’Africa (e l’idea è perfetta ma, ahimè, inapplicata ancora oggi), lottavano per sradicare l’infame tratta. Perché queste rive del Nilo e del fiume delle gazzelle erano pacificate, cioè asservite e svenate, dai mercanti di carne umana, che invocando empiamente le ragioni di Allah il misericordioso riempivano con forti razze gli harem d’Egitto e d’Oriente. E le loro tasche di negrieri. La tolleranza qui non è mai stata una virtù. Poi arrivarono gli inglesi, che con pugno di ferro hanno fatto uscire da nulla il più grande Stato del continente, unendo il Nord musulmano al Sud animista e cristiano: per non spezzare quella spina dorsale che univa la loro Africa dal Capo ad Alessandria d’Egitto. Ma con l’indipendenza ecco la guerra riesplodere, infernale, forsennata: per ventidue anni di massacri, due milioni e mezzo di morti, e un fragile accordo di pace nel 2005. Domenica prossima Juba, capitale di baracche e di miseria del Sud, vivrà un evento storico: la secessione e la nascita attraverso un referendum imposto dalla comunità internazionale di un nuovo Stato: cristiano e petrolifero. Mosaico di tribù, unite da un odio e da una paura comune: per la «sharia», imposta e brutale, e per l’umiliazione di schiavi subita per secoli. La secessione dei sudisti spezza uno dei dogmi su cui si è retta l’Africa indipendente, che cioè le frontiere fissate dai colonizzatori sono intoccabili. Pena l’esplosione del micidiale nazionalismo delle tribù. Che cosa accadrà, nessuno è in grado di prevederlo: forse la ripresa della guerra, perché qui non sono solo le anime e le fedi in gioco, c’è il petrolio ad esempio che zampilla nel Sud, nel nuovo Stato. È lì sotto. È ovunque, per distanze di chilometri, solleva il suolo e lo ammacca. E a questo dono di dio il Nord non vuole rinunciare. La nascita di una nazione cristiana avviene nel momento peggiore: quando la jihad infuria lungo tutta la grande frontiera delle religioni che taglia il continente, dal Mar Rosso all’Atlantico. L’Islam africano, ritornato fanatico, sogna di render terra di Dio quest’Africa ricca di uomini, di materie prime e di disperazione, di seminare minareti tra catapecchie di sterco. Impresa che fallì secoli fa ma che oggi sembra possibile. Gli Stati Uniti e la comunità internazionale hanno finto di dimenticare che gli accordi del 2005 ponevano, alla fine di sei anni di transizione con larga autonomia per il Sud, un referendum sull’autodeterminazione: «una bomba a scoppio ritardato» come ha detto Hillary Clinton. L’indipendenza del Sud è ineluttabile. Ma si realizzerà nella pace o con una guerra che potrebbe «provocare milioni di morti»? Previsione di chi? Barack Obama. Per illudere se stessi e gli altri, si è fatto finta di credere che sei anni di tregua sarebbero bastati per rendere l’unità più desiderabile. Bugia criminale! La divisione del potere (finora tutto nelle mani dei dispotici nordisti) non c’è stata: ancor meno l’intesa su come dividere gli utili di mezzo milione di barili di petrolio al giorno; nella regione di Abyei che deve scegliere domenica (se il referendum lì si farà) tra il Sud o il Nord. Poi c’è l’altra grande ricchezza, forse più preziosa dell’oro nero, l’acqua del Nilo: per cui si combatteranno le guerre del XXI secolo. A Khartum il presidente-dittatore Al-Bashir, ricercato dalla comunità internazionale per genocidio nel Darfur, ha giocato le sue carte, tramando, alternando concessioni e minacce. Fidando nell’alleato cinese che vuole il suo petrolio, esige la fine delle sanzioni americane e delle «persecuzioni» del tribunale internazionale. È quanto gli ha fatto intravedere, commettendo un errore, Obama. I conti con i detestati cristiani del Sud li salderà in altro modo, anche se l’indipendenza tra sei mesi diventerà unarealtà. Alimentando le loro divisioni, sfruttando le debolezze di uno Stato all’età della pietra, che manca ditutto per esistere e resistere. Le genti del Sud, unite dall’odio per i nordisti, infatti si battono tra loro furiosamente per le terre e l’acqua. In un territorio grande come la Francia ci sono duecento chilometri di strade asfaltate, mancano quadri, tecnici, amministratori. L’unica scuola dei leader-guerriglieri è stata la savana, il loro alfabeto conosce odio paura diffidenza. Basta per la guerra. Non per uno Stato.