NICCOLÒ ZANCAN, La Stampa 31/12/2010, pagina 20, 31 dicembre 2010
Il ragazzo di città in fuga da tutto per fare il pastore - Andrea non si è perso. Ma per non perdersi ha rinunciato a tutto quello che era previsto per lui: l’università, gli amici con le moto, «il bianchino» al bar, le notti in discoteca, le vacanze, una vita borghese
Il ragazzo di città in fuga da tutto per fare il pastore - Andrea non si è perso. Ma per non perdersi ha rinunciato a tutto quello che era previsto per lui: l’università, gli amici con le moto, «il bianchino» al bar, le notti in discoteca, le vacanze, una vita borghese. Ha rinunciato ai sogni preconfezionati e alla velocità del suo tempo. Andrea Maffeo, 18 anni, figlio di un chirurgo e di un’insegnante di Biella, da due anni ha scelto di fare il pastore: «Mi piacciono le bestie, stare all’aria, prendermi cura di loro. Andare a cercare sempre nuovi prati per portarle a pascolare, anche se non è facile. Ma quando finisce la giornata e vedo che le mie pecore hanno la pancia piena, sono felice anche io». Perché la felicità può essere davvero un’idea semplice. Pastore ramingo. La sua transumanza oggi lo porta a Candelo, un piccolo paese ai piedi delle montagne, a settanta chilometri dal confine svizzero. E fa uno strano effetto arrivare alle bestie passando lungo stradoni costruiti per fare spazio a ipermercati, parcheggi e rotonde. Questa è la terra del filati di pregio. La lana di Andrea invece è spessa e ruvida, e il suo piccolo marchio si chiama «Crusch Gacc»: «In dialetto biellese significa pastore buono, pastore serio. Che non lascia mai le pecore, neanche di notte». D’inverno dorme dentro una vecchia roulotte con una stufetta, niente televisione: «Guardo il telegiornale quando torno a casa dai genitori. Magari sto anche mezz’ora davanti al computer. Facebook mi piace, ma posso farne a meno». Andrea a scuola era un disastro. «A parte i voti, sentivo che non poteva essere la mia vita. Ero sempre stanco, insofferente. Il banco mi sembrava una prigione. Non era per me. Quando mio nonno mi portava in montagna, invece, stavo molto meglio. Lui mi diceva: "La senti l’aria?". Io la sentivo. Ho capito così quello che volevo fare». I primi ad accorgersi di Andrea, della sua storia piccola e grande, sono stati Manuele Cecconello, Claudio Pidello e Andrea Taglier. L’hanno seguito per un anno con telecamere e macchine fotografiche. Con pochi mezzi hanno girato un documentario poetico, pieno di silenzi e attese, stagioni che cambiano lentamente, com’è la vita di Andrea. Si chiama proprio «Sentire l’aria». Un successo per ora confinato al biellese. Ma il primo vero sponsor del pastore Andrea, a guardare bene le cose, è stato suo padre. «Facevo il secondo anno di Agraria. Alla fine della scuola, gli ho detto che volevo cercare qualcuno che mi insegnasse a fare questo mestiere. Lui mi ha detto di provare. Sono andato in montagna con un vecchio pastore che si chiama Nicola Pelle. Non è che parlasse molto, ma il mestiere si ruba, non si insegna». Al ritorno Andrea aveva deciso: «Ci sono state discussioni in famiglia, come è normale. Mio padre mi ha chiesto tante volte se fossi sicuro. Alla fine mi ha detto: “A noi va bene, se tu sei felice". Sono andato con lui a comprare le prime pecore». Oggi Andrea ha 300 capi, insufficienti per vivere, ma abbastanza per sperare un giorno di farcela: «Devo arrivare a 500, avere più contributi, produrre più lana. Riuscire presto a pagarmi le spese: il fieno, il granturco, la tosa». Una giornata al pascolo può fare bene. Lunghe ore di attesa da un prato all’altro. Nessun rumore, a parte le pecore che brucano e belano, mentre il cane Birbàn controlla che ci siano tutte. Andrea sta seduto appoggiato a un bastone: «È bello vedere come cambiano le giornate - dice - ognuna è diversa». Cosa ti manca di più della tua vita di prima? «Il tempo libero. Non dico le vacanze, ma mezza giornata per andare con gli amici, magari. Però le pecore non aspettano». Ci tiene ad essere un «Crusch Gacc»: «Non so se potrò farmi una famiglia. Per stare insieme in questa vita bisogna fare tante rinunce». Il padre di Andrea si chiama Michele Maffeo, da sette anni si occupa di cure palliative per malati terminali di cancro: «Certo, le ambizioni di ogni genitore sono diverse. Non dico che speravo che facesse il chirurgo, ma magari un lavoro in cui si realizzasse di più. Però Andrea a scuola soffriva troppo. E mi è venuto in mente che Mario Rigoni Stern aveva la terza media. Non so se in futuro ci rinfaccerà di non aver insistito di più per farlo studiare. Ma so che un uomo può trovare la sua morale in mezzo ai boschi come nel centro di Torino. Intanto gli stiamo con il fiato sul collo. La cosa più importante è che Andrea impari il rispetto». Il rispetto è nel silenzio. Nelle carezze per Birbàn. Nei fischi che richiamano il gregge verso il recinto, quando il pomeriggio diventa freddo e buio. In giro che cosa dicono di te? Andrea sorride ancora: «I commenti sono vari. Molto mi criticano, dicono: “Ma cosa ci fa il figlio del dottore dietro alle pecore?”». Cerca un senso come tutti, il suo.