Marina Forti, il manifesto 31/12/2010, 31 dicembre 2010
LA POLITICA DELLE CIPOLLE
Quando il prezzo delle cipolle diventa proibitivo, c’è di che allarmarsi. E in India le cipolle sono rincarate in modo impressionante in questa fine dicembre: quasi da un giorno all’altro sono aumentate del 30 o 40 per cento, in certi casi anche oltre. Le cipolle sono un cibo di base, quanto la farina o il riso, e un rincaro così non passa inosservato: il prezzo delle cipolle è diventato argomento di polemiche, i giornali parlano di accaparamenti, editoriali di fuoco chiedono cosa fa il governo, l’opposizione accusa la maggioranza. Il governo federale per la verità è intervenuto, e con misure straordinarie: appena prima di Natale ha vietato temporaneamente l’esportazione di cipolle, mentre ha alleggerito le imposte per favorirne l’importazione in via prioritaria dal Pakistan e altri paesi vicini. Per qualche giorno sembrava che il mercato si calmasse: ieri invece una nuova impennata. Leggiamo sui giornali che un chilo di cipolle grandi costava pochi giorni fa attorno a 50 rupie (circa un euro) facendo la media nazionale, ora tocca punte di 80 rupie a Delhi. Sempre ieri i giornali riferivano che l’inflazione del settore alimentare ha raggiunto il tasso del 14,4%, doppio dell’inflazione generale che si aggira sul 7% – e ieri nuovi editoriali scommettevano su un prossimo rialzo dei tassi d’interesse.
Il prezzo delle cipolle è un di test politico in India, quasi un indicatore di tutto ciò che funziona o è sbagliato nella gestione dell’economia agricola di questo paese immenso dove il 70% della popolazione vive direttamente della terra. Perché dunque le cipolle sono diventate così care? Il raccolto andato male è solo parte della risposta. Nella stagione tra luglio e settembre sui mercati indiani arrivano le cipolle prodotte in Maharashtra e Karnataka, due grandi stati centrali che insieme fanno quasi la metà della produzione nazionale; quest’anno però piogge prolungate fino a ottobre hanno danneggiato il raccolto. Questo non ha impedito agli intermediari commerciali di esportarne grandi quantità. Gli intermediari entrano in scena ancor prima del raccolto: di solito offrono agli agricoltori un anticipo sul prodotto, cosa che permette loro di controllare il prezzo e almeno in teoria dà ai produttori una garanzia. Il prezzo minimo è fissato da un organismo regolatore statale, che così incoraggia le esportazioni quando sul mercato c’è eccedenza, le frena quando c’è penuria. Ora, questo organismo ha alzato il prezzo minimo alla fine di setttembre, quando tutti prevedevano un buon raccolto e gli intermediari non volevano tenersi grandi stock col rischio che i prezzi scendessero: così in ottobre l’India ha esportato 133mila tonnellate di cipolle in Pakistan. Oggi molti accusano: la penuria era prevedibile, il governo doveva intervenire prima a bloccare l’export. I pianificatori ribattono: tenere bassi i prezzi a ottobre avrebbe danneggiato i produttori. Il ministro federale dell’agricoltura, Sharad Pawar, e come lui i commercianti di cipolle, attribuiscono i rincari al cattivo raccolto. Ma molti giornali parlano di speculazione: gli intermediari a Nashik «lavorano in cartello», scrive il settimanale Tehelka (1 gennaio 2011) citando un funzionario governativo. Certo è che le cipolle sono diventate un affare di stato. Qualcuno ieri ricordava che nel ’98 il partito della destra nazionalista Bjp, che allora governava New Delhi, vi perse le elezioni perché non era riuscito a impedire che le cipolle andassero alle stelle.