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 2010  dicembre 31 Venerdì calendario

GLI ALEVITI, VOLTO LAICO DELL’ISLAM

Un Islam diverso e tollerante chiede di essere riconosciuto: ci sono musulmani che non hanno l’obbligo delle cinque preghiere rituali, che celebrano le loro cerimonie accompagnandole in luoghi che non sono le moschee ma i cemevis, le case comuni, dove uomini e donne senza il velo stanno fianco a fianco danzando al suono del liuto, musulmani per i quali la convivenza tra le fedi è un valore fondamentale: tutto questo sono gli aleviti, 12 milioni su 70 - qualcuno sostiene che siano 25 - una minoranza comunque consistente che non si trova in nessuna statistica della Turchia dove ufficialmente la popolazione è al 98% sunnita.

Ma gli aleviti ci sono, eccome: lo è il capo del partito repubblicano Chp, Kemal Kilicdaroglu, il magnate dei media Aydin Dogan, il finanziere Mustafa Suzer, lo sono soprattutto migliaia di turchi scesi in piazza ad Ankara e Istanbul per chiedere l’abolizione del direttorato degli affari religiosi.

Per molto tempo la loro vicenda, che si snoda anche in Siria, Iraq e Iran, è stata ignorata: ritenuti eretici, gli aleviti hanno mantenuto nei secoli, e anche dopo la repubblica di Ataturk, un profilo basso, praticando la taqyya, la dissimulazione della propria fede, per sopravvivere alle persecuzioni. Milioni di turchi non sanno neppure esattamente chi siano, basandosi su pregiudizi o storie infamanti che portarono nel 93 a un attacco integralista in cui 37 cantori aleviti furono arsi vivi nell’incendio doloso dell’hotel Madimak di Sivas.

Alla base della dottrina c’è l’opposizione tra ciò che è manifesto, zahir, e quanto invece resta nascosto, batin, espressa nella metafora del guscio e della mandorla: il segreto del culto alevita è estrarre dall’Islam "la mandorla della conoscenza" e lasciare ai bigotti "il guscio vuoto della legge". Gli aleviti non osservano il Ramadan, ma digiunano per il martirio di Hussein, consentono gli alcolici, non compiono il pellegrinaggio alla Mecca, venerano il Corano ma non lo recitano.

Con gli aleviti si scorge il volto di una Turchia poco conosciuta. «Siamo contro i corsi obbligatori di religione nelle scuole, contro le manovre di assimilazione e i tentativi del governo dell’Akp di Erdogan di rimpiazzare le nostre organizzazioni con le sue», dice la signora Vicdan Baykara, combattiva leader del Tum Belt Sen, sindacato portabandiera del laicismo. Che cosa chiedono gli aleviti? «Abbiamo tre obiettivi: il riconoscimento dei cemevis come luoghi di culto, la riforma del direttorato per gli affari religiosi, e soprattutto l’abolizione dell’obbligo dei corsi di religione nelle scuole, impartiti secondo l’ortodossia sunnita. I bambini aleviti sono costretti a seguire un credo che non è il loro. In un paese moderno e democratico lo stato deve disimpegnarsi dall’insegnamento religioso», dice Vicdan Baykara. “L’alevismo si è formato con molti contributi diversi. I nostri rituali, la nostra filosofia, le nostre pratiche sono differenti da quelle sunnite e anche dallo sciismo con cui per altro condividiamo il culto dei Dodici imam e di Alì, il genero e cugino di Maometto».

Entriamo nel cemevis Sahkulu Dergah di Istanbul dove il leader spirituale, il Dede, è Veli Akkol, un signore cordiale con i baffi grigi che officia senza tuniche o turbanti ma in abiti borghesi e maniche di camicia: «Gli imam delle moschee nascondono le donne sotto il velo e le separano dagli uomini, per noi le donne, di ogni età e condizione, sono semplicemente delle anime».

Il dede riceve i fedeli accanto ai ritratti di Alì e di Haji Bektash, il santo del 13° secolo che fondò l’ordine dei bektashi: l’alevismo è di origine nomade e tribale, la sua affiliazione è ereditaria e ignora il proselitismo, i baktashi, sono una variante urbana, sufi e colta, costretta dall’800 alla clandestinità. Haji Bektash partì dal Khorassan, nel cuore dell’Iran, per fermarsi in un oscuro villaggio anatolico dove vivono ancora i suoi discendenti: la sua tomba-museo è meta di milioni di pellegrini che celebrano tradizioni secolari ma organizzano anche concerti pop e banchetti in un’atmosfera da festival hippie degli anni 70.

Gli aleviti rappresentano oggi la media borghesia, oltre al 20% dei curdi e di altre minoranze. «Siamo un terzo della popolazione e paghiamo un terzo delle tasse - sostiene Izzetin Dogan, capo della Fondazione Cem - ma lo stato non ci riconosce alcun diritto: teme che la maggioranza turca diventi alevita».

Ma quanti sono in realtà? Nel 2000 il Consiglio nazionale per la sicurezza ordinò un censimento rimasto top secret per 10 anni: gli aleviti sono 9 milioni, con una stima attuale che arriva a 11-12. Nulla si sa di preciso perché molti dati sparirono insieme a chi li raccolse. Il responsabile del censimento, il professor Saban Kuzgun, morì in un misterioso incidente d’auto e i suoi più stretti collaboratori impauriti, e forse minacciati, rinunciarono al progetto lasciando allo sbando duemila ricercatori.