Antonella Olivieri, Il Sole 24 Ore 31/12/2010, 31 dicembre 2010
PIAZZA AFFARI BATTE SOLO MADRID
Capodanno triste per Piazza Affari. È un magro rendiconto quello del 2010: fanalino di coda in Europa (tra le maggiori Borse, davanti solo a Madrid che ha perso oltre il 17%) con una performance negativa dell’indice Ftse-Mib del 13,23%, listino al palo con due sole matricole (Tesmec ed Enel green power) per il mercato azionario principale, peso sul Pil dimagrito al 27,6%. Ci si può consolare con i dati che confermano l’efficienza tecnica della Borsa, che riafferma il primato per liquidità in termini di turnover velocity – l’indicatore che, rapportando il controvalore degli scambi telematici alla capitalizzazione, segnala il tasso di rotazione annuale delle azioni – la più elevata a livello continentale. O con la leadership europea per contratti scambiati sui sistemi telematici sia sul mercato degli Etf (in crescita del 44% sull’anno), sia per i volumi record sul reddito fisso (con un ulteriore crescita del 7,8% sul Mot). O con la vitalità del mercato dei derivati Idem, che per il secondo anno consecutivo batte se stesso, aggiornando il massimo storico degli scambi.
Ma neanche il rally di fine anno, aiutato dalla liquidità immessa nel sistema dalla Fed e dall’accordo sulla crisi dell’Irlanda, è riuscito a salvare quello che resta un bilancio deludente per gli investitori. L’Ftse-Mib ha recuperato infatti il 5,6% da fine novembre, in linea con lo Stoxx 600 che in Europa ha archiviato dicembre con un guadagno del 5,8% che ne fa il miglior mese dopo quello di marzo.
Per una volta però, non c’è nulla di irrazionale. L’andamento opaco del mercato azionario italiano è "scientificamente" spiegabile alla luce di una lettura analitica dei dati. Il Pil italiano cresce poco, intorno all’1%, e secondo il Centro studi di Confindustria al passo attuale l’economia italiana non recupererà i livelli pre-crisi prima del 2015. Quando invece gli Usa dovrebbero farcela quest’anno, e la Germania (forte di un exploit del 3,6% previsto per il 2010), la Francia e persino il Giappone il prossimo.
Ma questo è solo il contorno, perchè comunque c’è una cronica incapacità del listino di Borsa di dare una rappresentazione fedele del tessuto industriale italiano. Solo 332 le società quotate a Milano a fine 2010 per una capitalizzazione complessiva che non arriva al 30% del Pil. Inutile continuare a citare gli studi che quantificano in mille-2mila le società potenzialmente atte alla quotazione: le Ferrero, le Barilla, le tante aziende familiari che avrebbero i numeri per sfondare non si convincono a fare il salto al listino.
Così Piazza Affari resta sempre a rigirare le stesse società, con una "specializzazione" settoriale che quest’anno non l’ha aiutata a distinguersi nella gara delle performance. Banche, energia e utilities, che da sole spiegano il 60% del listino milanese, nel 2010 non hanno brillato in Europa: -5,1% il bilancio a mercoledì sera del settore creditizio dell’indice Ftse Eurofirst 300, -3,2% quello delle utilities, mentre solo oil & gas è rimasto in territorio positivo con un relativamente modesto +6,4 per cento.
Ma inoltre – come si può vedere nel grafico pubblicato a fianco – nella maggior parte dei casi i settori di Piazza Affari hanno sottoperformato gli omologhi continentali, con l’eccezione di pochi comparti poco rappresentativi che, come tali, non sono in grado di spostare più di tanto l’indice. Così le banche nostrane, sempre secondo i dati Ftse aggiornati a mercoledì, sono rimaste indietro rispetto al settore continentale con un ribasso complessivo del 27,6%, confermando il ritardo dello scorso anno che pure era stato positivo. Una logica, quella della Borsa, che non rende giustizia alla maggior solidità con la quale il sistema creditizio italiano ha affrontato la crisi finanziaria sfociata nel fallimento della Lehman e nei salvataggi di Stato di tante, blasonate, banche europee. Ma tant’è. Hanno fatto meglio invece le utilities (+2,1% l’indice settoriale Ftse Italia) e anche l’energia (+7,1%), ma la differenza non è abissale.
Grazie allo sprint finale della Fiat, l’indice auto nostrano ha sorpassato di misura quello continentale (+45,9% contro +45,4%). Ma dove proprio i titoli tricolori hanno staccato il gruppo è stato nel comparto retail, con un balzo del 61,2% che si confronta con il +17% del macro-settore grande distribuzione fotografato dall’Ftse Eurofirst 300: peccato che per Piazza Affari questo comparto pesi solo per lo 0,4% della capitalizzazione flottante del mercato.