Gianni Riotta, Il Sole 24 Ore 31/12/2010, 31 dicembre 2010
RIAPRIAMO IL NOSTRO FUTURO IN 365 GIORNI
Il futuro busserà con forza alla porta dell’Italia in questo 2011. Sarà duro, di crisi, perché chi chiacchiera di riprese veloci o è travolto dalle feste o non sa cosa dice. I buoni numeri americani, l’eccellente performance 2010 dei paesi nuovi, la tenuta tedesca, non nascondono quello che gli economisti più saggi sanno: vivremo un «new normal», una normalità fatta di costumi, produzioni, ritmi e culture diverse. Ha ragione il nostro Alberto Alesina a richiamarci alla realtà, il mercato ha conosciuto scacchi e fallimenti tra la fine del XX e l’esordio del XXI secolo.
Ma sta traendo centinaia di milioni di uomini dalla fame in America Latina, in Asia e presto in Africa, dopo averlo fatto con i nostri nonni e bisnonni in Europa e America. Non è la globalizzazione ad avere ridotto e messo a rischio il lavoro tradizionale nel nostro mondo, è la tecnologia che ha ridotto il numero di addetti per tanti mestieri, dalla fabbrica, ai servizi, alle burocrazie. Il nuovo lavoro si creerà dal sapere nuovo, dall’innovazione, da start-up capaci di disegnare il magico triangolo della ricchezza 2.0: laboratori di ricerca e università, aziende che cambiano ogni giorno, infrastrutture fisiche e immateriali di rete, intessute dall’amministrazione pubblica.
Così il mondo si è messo in movimento, così il mondo si batterà nel 2011 per creare ricchezza e per contendersi quella esistente. Così il mondo va, dalla Cina che compra debito greco, mettendo un piede in Europa come ha fatto in Africa mentre tiene d’occhio il mercato dei minerali rari, agli Stati Uniti che il professore Kennedy conferma in declino ma che il giovane presidente Obama vuol tenere in corsa, al Brasile liberista dell’ex presidente Lula (che si tiene il pessimo Battisti in omaggio ai vecchi gauchisti), all’India incapace di controllare i conflitti etnici, di liberarsi della burocrazia, ma forte nel software e nell’uso intelligente del background orientale e britannico.
Per l’Italia, ferma, ipnotizzata dal passato e dalle sue fruste contese, in scacco tra il dominatore della politica degli ultimi tre lustri, Silvio Berlusconi, incapace di riformare l’economia, e un’opposizione incapace di riformare se stessa, sarà un anno cruciale. Chi si illudesse di passarlo traccheggiando, con un governo in bilico, una politica biliosa, un giornalismo isterico, un sindacato nostalgico di un’industria che non esiste più, imprese incapaci di misurarsi con la globalità, l’opinione pubblica chiusa su se stessa, perderebbe 365 decisivi giorni.
Quanto tempo sprechiamo a baloccarci col passato! La riforma Gelmini è elogiata dai suoi fan come «killer del 1968» e deprecata dai suoi critici come «killer del 1968». Sergio Marchionne riceve gli applausi di chi lo considera il «matador della concertazione burocratica seguita all’autunno caldo del 1969» e i fischi di chi lo detesta per la stessa, inane, ragione. La destra insulta la sinistra come «comunista», la sinistra replica dando alla destra dei «fascisti». Naturalmente le speranze, le utopie, le ideologie, le dittature, i fallimenti, i sogni e le sconfitte del Novecento nulla c’entrano. E troppi, dai fracassoni del Pdl ai duri della Fiom, incapaci di analizzare il presente usano il passato per demonizzare gli avversari.
Nel 2011 dovrà essere l’intera classe dirigente italiana, nell’accademia e nella produzione, nella cultura e nella politica, di fede e laica, giovane e no, nella finanza, nell’amministrazione, al nord e al sud, a maturare e ad assumersi la responsabilità del futuro. Non sarà la batracomiomachia Pro e Contro Berlusconi a dirimere le difficoltà. Non sarà la sopravvivenza del governo, legato infine a un pugno di voti raccattati per caso o per necessità, non saranno le elezioni anticipate, per la seconda volta dal 2008, a salvarci dal dilemma. Illudersi che la «colpa» sia delle Caste e delle Cricche che tanto detestiamo serve a poco, se non a fare le fortune degli indignati cronici. È colpa di tutti noi, e segnatamente di chi occupa posti di responsabilità a qualunque titolo, se non riusciremo a rinnovarci, perduti in un labirinto da noi stessi costruito.
Abbiamo scelto con i colleghi del Sole 24 Oreil Ceo della Fiat-Chrysler Sergio Marchionne come uomo dell’economia italiana 2010e non perché ne condividiamo ogni singola mossa, né perché non ne vediamo i singoli errori e ritardi, o le accelerazioni solitarie e gli strappi. Lo abbiamo scelto perché, senza indugi, ha posto la nostra classe dirigente davanti al dilemma della post modernità: o si compete con il mondo secondo le regole del mondo, o il mondo inesorabile ci lascia alle spalle.
Spiace vedere il sindacato dividersi, spiace vedere una sigla storica come la Fiom attardarsi a parlare di «diritti» come se anche brasiliani, serbi, cinesi, africani non avessero «diritto» alla dignità. Il vero diritto al lavoro che la Costituzione tutela è creato da un’economia capace di competere oggi, non ai tempi dell’inchiesta di Engels sulla classe operaia di Manchester.
Uomini di senno come Fassino, Chiamparino, il giuslavorista Ichino invitano il Pd ad accettare la sfida di Marchionne, senza sconti e senza censure. Tutto il futuro della segretaria Cgil Camusso è rinchiuso in questo bruciante esordio: o tiene insieme i suoi nella modernità, o finirà con i sindacalisti del Museo delle Cere del Passato, roboanti nei comizi, inutili a difendere il lavoro italiano. Bonanni ci sta provando, lasciarlo solo è assurdo.
Noi del Sole abbiamo scritto prima di tutti che l’impatto profondo della crisi finanziaria sarà sulla società, con la crisi del ceto medio e dei suoi consumi studiata da Raghuram Rajan. E se i consumi si restringono sarà difficile riavviare le imprese. Ma l’idea, già così inutile negli anni Settanta, che ci sia un «caso italiano», una formula «nostrana» per salvare compagnie aeree, di automobili, riformare le università, innovare i mercati, oggi ci atterra.Solo guardando al futurosenza paura ritorneremo quel che eravamo e possiamo ancora essere: italiani padroni, non vittime, del nostro destino.
È questo l’augurio affettuoso che facciamo alle lettrici (siete tante, una ogni tre dei nostri lettori: grazie!) e ai lettori. Di un 2011 in cui tutta l’Italia, come l’Angelo della Storia immaginato dal filosofo Walter Benjamin da un disegno di Paul Klee, pur con lo sguardo fisso al passato sappia volare al futuro. Benjamin diceva che dalle macerie del passato nasce il progresso e per questo c’è chi gli ha dato del pessimista, sbagliando, perché la verità è l’opposto. Non importa di quante macerie siano ingombri il nostro passato e presente. Da ogni frammento è possibile costruire il progresso nel futuro: e se non ne saremo capaci noi italiani, chi mai lo sarà? Buon anno 2011 dunque.