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 2010  dicembre 31 Venerdì calendario

PAESE, NAZIONE, PATRIA FATE LA VOSTRA SCELTA


Mi sono chiesto più volte come mai il termine «Paese» venga pronunziato così costantemente tanto da sembrare, oserei dire, inflazionato. Conclamato e riconosciuto il nobile significato della parola «Paese» almeno per chi crede e opera veramente per il suo unico bene, mi chiedo dunque perché all’Ufficio Anagrafe (ad esempio) o nei documenti di identità al cittadino venga richiesta o venga riconosciuta la «nazionalità» (ovvero colui che appartiene ad una Nazione). Una volta (intendo dire quando nel 1955 frequentavo la scuola elementare e ancora oltre nella scuola media inferiore e poi in quella superiore) ci insegnarono l’altrettanto nobile significato di Nazione che ora, a pronunciarlo, sembra sia sinonimo di «nostalgico anni del ventennio» . Per me «Paese» o «Nazione» non fa differenza per come alto e sincero è il mio senso di rispetto delle Istituzioni e dello Stato ma ... ma «Paese» , mi sia concesso, a me sembra sia un termine riduttivo.
Giordano Di Fabio
giordano.difabio@libero. it

Caro Di Fabio,
La sua lettera mi ha ricordato una conversazione a Londra più di cinquant’anni fa. Ero secondo segretario dell’ambasciata d’Italia, e l’ambasciatore era il conte Vittorio Zoppi, gentiluomo piemontese, figlio di un noto generale, leale servitore della Repubblica ma, nel suo cuore, certamente monarchico. Quando lo pregai di leggere un breve saggio che avevo scritto sui rapporti italo britannici, mi chiese con una punta di rimprovero perché usavo così frequentemente, parlando dell’Italia, la parola Paese. Non lo disse esplicitamente, ma era chiaro che avrebbe preferito nazione o addirittura patria. Vi era fra di noi una distanza lunga quarant’anni e Zoppi faceva fatica a capire perché un giovane diplomatico provasse una certa diffidenza per parole contagiate e svalutate dall’uso retorico e bellicoso che il nazionalismo e il fascismo ne avevano fatto durante la prima metà del secolo. La parola «nazione» , alle origini, aveva definito una comunità unita dalla lingua, dalle tradizioni civili e spirituali, dalla lunga presenza in uno stesso territorio. Il Collège des Quatre Nations, di cui il cardinale Mazzarino promosse la costruzione nella seconda metà del Seicento sulle rive della Senna, era destinato all’educazione dei giovani nobili delle quattro province (Artois, Alsazia, Pignerol, Roussillon e Cerdagne) che la Francia aveva annesso con i trattati di Westfalia e dei Pirenei. Più di un secolo dopo, tuttavia, all’epoca della rivoluzione, le parole «Grande Nation» divennero sinonimo di una Francia «una e indivisibile» , dotata di grandi valori universali, ma anche di uno straordinario appetito territoriale. Più tardi il connubio tra la nazione francese e il romanticismo tedesco mise al mondo tutti i nazionalismi che hanno dominato la scena politica europea sino alla Seconda guerra mondiale e ancora non smettono di condizionare le scelte politiche dell’Ue. È davvero sorprendente che la parola «nazione» sia diventata in Europa meno facilmente utilizzabile? Per parlare della Francia i francesi usano spesso «héxagone» (esagono), mentre gli inglesi parlano di «country» e dicono «to die for king and country» , «right or wrong my country» , là dove noi fino alla Seconda guerra mondiale avremmo detto «morire per il re e per la patria» , «giusto o sbagliato è la mia patria» . Aggiungo in tutta franchezza, caro Di Fabio, che la parola Paese mi piace. Mi fa pensare all’uso che ne faceva Carducci quando distingueva il «Paese legale dal Paese reale» , ai tre quotidiani italiani (Il Paese, Il Nuovo Paese e Paese sera) che hanno avuto quel nome nel corso del Novecento, e infine al «Bel Paese» dell’abate Stoppani.