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 2011  gennaio 03 Lunedì calendario

VITA DI CAVOUR - PUNTATA 58 - GIORNALISTI IN CAMPO

Senta, deve esserci però un momento in cui Cavour comincia veramente a far politica. Non è neanche adesso? Sì, è adesso. Non ha ancora capito? Tutte queste amarezze sono del settembre-ottobre 1847. Ma il 30 ottobre 1847 venne pubblicato l’editto delle riforme e questo editto dava la possibilità di far giornali, purché «non offendessero la religione e i suoi ministri, la pubblica morale, i diritti e le prerogative della sovranità, il governo e i suoi magistrati, la dignità e le persone dei regnanti anche esteri, le loro famiglie e i loro rappresentanti, l’onore dei privati cittadini, e non pregiudicassero il regolare andamento del governo nei suoi rapporti sia interni che esteri» .

Erano limitazioni grosse. Non era niente rispetto alla situazione di prima. L’editto ammetteva che si facessero giornali politici. E non c’era la censura preventiva. La censura, anzi, era stata tolta dalle mani dei gesuiti, altra decisione storica. Le do un’idea della censura. Se scrivevi «interessi politici» te lo cambiavano in «interessi civili», «nazione» diventava «paese», «Italia» te la cassavano. Niente «rivoluzione», ma al massimo «sconvolgimento» o «violenza». Proibiti «libertà», «liberalismo», «liberale», al posto di «costituzione» scrivere «amministrazione», difficoltà per un libretto di Caterina Franceschi-Ferrucci dedicato all’educazione delle fanciulle povere, un’ordinanza del 17 marzo 1845 dichiarava inopportuni gli articoli sulle ferrovie…

Ma che giornali c’erano? L’unico a cui era concesso di trattare le materie politiche era la «Gazzetta piemontese», un organo ufficiale diretto da Felice Romani. Le «Letture di famiglia», di Lorenzo Valerio, erano state chiuse. Alla fine, di importante, c’era il «Mondo illustrato», settimanale, edito da Pomba sul modello dei giornali francesi. Prodotti leggeri, a cui fu tuttavia imposto di non occuparsi di personaggi viventi, tali articoli essendo «capaci di dar luogo ai richiami degl’interessati, dare occasione a scandali e recriminazioni e risposte e contestazioni, che importava moltissimo d’evitare, nell’interesse di un ben regolato vivere civile e della pubblica tranquillità» (Spellanzon). Come si fa un giornale col divieto d’occuparsi dei vivi? Infatti Pomba protestò, implorò e alla fine gli fu concesso d’occuparsi anche dei vivi… Un’altra pubblicazione importante era l’«Antologia italiana», molto sospetta, sia per la parola «Antologia», che ricordava l’Antologia fiorentina del Vieusseux, malvista in Piemonte, sia per l’aggettivo «italiana», poco tollerato. Usciva una volta al mese e si guardava bene dal coprire l’attualità, erano articoli di storia o letteratura, ci scrivevano Balbo, d’Azeglio, Bon Compagni, anche Cavour che pubblicò lì il suo saggio sui benefici della politica liberoscambista inglese. Poi c’era il «Messaggiere torinese» che Brofferio aveva comprato per due lire da un Gabetti, usciva due volte la settimana e godeva di una strana libertà, anche nei toni. In genere non si ammettevano toni troppo aggressivi. Ma quello che non era ammesso con gli altri, era tollerato con Brofferio…

Come mai? Chi è Brofferio? L’altro capo della sinistra, con Valerio. Un avvocato. Nell’Agraria non aveva voluto metter piede, giudicando i suoi caporioni «divinità dell’archivio, del museo, dell’anticamera, della sacrestia» , e i loro studi «prostituzioni accademiche circoscritte in sterile arringo» . Gran parlatore, grafomane, gigione. A Cavour era simpatico. Nel ’31 aveva partecipato alla congiura dei Cavalieri della Libertà e poi, una volta arrestato, aveva fatto i nomi dei compagni. Secondo me, avevano un occhio di riguardo per lui grazie a questo. Insomma, a quanto capisco, Cavour cominciò a far politica scrivendo sui giornali. Il più esperto in questo campo era Lorenzo Valerio. Chiese il permesso di pubblicare un «giornale quotidiano politico e morale sotto il titolo della Concordia». Aggiunse che a «La Concordia» era assicurata l’opera di parecchi collaboratori. Infatti aveva messo insieme il meglio che si potesse trovare a Torino: Balbo, Sineo, Lanza, Domenico Carutti, Roberto d’Azeglio. C’era anche Elia Benza, l’ex mazziniano. Valerio preannunziò che «La Concordia» sarebbe stato un giornale «politico, economico, amministrativo e letterario» e che sarebbe stato «pubblicato quotidianamente in un solo foglio». Annunciò l’emissione di 120 azioni a 500 lire l’una. Poi radunò i collaboratori, ma litigarono quasi subito. Il gruppo di Giovanni Lanza (Lanza, Durando, Cornero, Montezemolo, Pellati) preferì farsi un giornale suo, intitolato «L’Opinione». Era poi impossibile che un moderato come Balbo andasse d’accordo con un esagerato come Valerio. Stavolta non si trattava delle «Letture», ma di un giornale che avrebbe fatto politica dalla prima all’ultima riga, tutti i giorni. E in un momento come quello. Valerio aveva poi un certo modo imperioso di rivolgersi. Non solo aveva stabilito che sarebbe stato il direttore, era pure evidente che avrebbe fatto il capo. Balbo se ne andò sbattendo la porta.

E Cavour? Cavour si fece un giornale suo. E lo chiamò «Il Risorgimento».