Armando Torno, Corriere della Sera 31/12/2010, 31 dicembre 2010
NON FATE PREVISIONI, LE SBAGLIERESTE
Descrivere il futuro è sempre stata una professione interessante, a volte lucrosa. Indovini, aruspici, oracoli, soprattutto maghi odierni che ricevono su appuntamento e in genere quei profeti — o esperti che dir si voglia — moltiplicatisi come i girini dello stagno grazie alla globalizzazione sono riusciti (e riescono) sempre a farla franca Già Francesco Guicciardini, del resto, nella prima metà del Cinquecento nei suoi Ricordi sosteneva che quella degli astrologi è una «grande sorte» , giacché la fede loro concessa per una verità pronosticata non riesce a far cadere le «cento falsità» proferite. Alla fine di ogni anno siamo sommersi da notizie sul futuro. Si prevede da un triennio la fine della crisi economica, da qualche lustro il collasso del pianeta Terra o la morte dei giornali; inoltre ci siamo abituati al virus dell’autunno, quel rompiscatole sanitario che arriva puntualmente per spaventare i mezzi di comunicazione con la minaccia di pandemia, dalle conseguenze imprevedibili. Dalla mucca pazza dell’inverno 2000-2001 alla Sars che si spostava con i voli aerei nel 2003, dall’aviaria che agitò gli animi per tutta la primavera 2006 all’influenza suina del 2009: ogni volta senza requie, tra catastrofi e pericoli per l’intera umanità. Oggi le previsioni si trasformano in prevenzioni, antidoti, affari colossali, psicosi che ne favorisce l’applicazione. L’indagatore del futuro che si conosceva in passato correva dei rischi, e la frase «Crepi l’astrologo!» li illustra; quello odierno — come sostengono gli economisti, dopo gli ultimi insuccessi— cerca di fotografare un livello di fiducia più che i fatti a venire. Nel sito «www. cicap. org» si possono leggere le cantonate prese nei tempi vicini a noi. Per il 2010— è solo un esempio tra i molti del calcio e della politica— Susanna Schimperna aveva dichiarato al Tg1: «Lippi durante l’estate avrà un bellissimo periodo» . Una topica meno grave di quella scientifica dell’inverno 1999, quando si parlò del Millennium bug e del collasso che avrebbero subito i computer per il passaggio di data dal 99 allo 00, con blocchi mondiali e scenari apocalittici. O dell’altra, nata dallo studio commissionato dal Club di Roma a Dennis e Donatella Meadows, pubblicato nel 1972 e intitolato The limit to growth, I limiti dello sviluppo, nel quale si sosteneva che la crescita della popolazione collegata al crescente consumismo avrebbe esaurito le risorse della Terra in poco tempo. L’opera fu tradotta in venti lingue e conobbe una diffusione di poco inferiore ai dieci milioni di copie. Pur rispettando gli ambientalisti che l’hanno cara e ricordando che i calcoli si fecero in base ai ritmi dei consumi di quel 1972, da essa si deduce che l’oro «finiva» nel 1981, il mercurio nel 1985, lo stagno nel 1987, lo zinco nel 1990, il petrolio nel 1992, rame, piombo e gas nel 1993. In realtà gli uomini ripetono le stesse cose e commettono continuamente i medesimi errori. Non è un privilegio contemporaneo spararle grosse. Su «Scientific American» nel 1909 apparve una puntuale analisi che spiegava perché l’automobile avesse «raggiunto il limite del suo sviluppo» e questa acuta previsione si basava sul fatto che nel 1908 le case statunitensi non introdussero nei loro modelli dei miglioramenti sostanziali. E che dire dell’affermazione di Ken Olson — presidente della Dec, produttrice di server aziendali — che nel 1977 affermò: «Non c’è una ragione per la quale si dovrebbe volere un computer a casa propria» ? Dobbiamo a Harry Bros, uno dei fondatori dell’omonima casa cinematografica, una deliziosa domanda risalente al 1927, a proposito del sonoro nei film: «Chi diavolo vuole sentire gli attori parlare?» . Forse la topica più grossa la prese Thomas Edison, il celebre inventore: correva l’anno di grazia 1880 — mese più, mese meno— e lui candidamente sostenne che «la pornografia non ha assolutamente alcun valore commerciale» . Gli errori sul futuro non risparmiano alcun essere vivente e anche i sommi geni, o i ricordati esperti, non ne sono immuni. Immanuel Kant, punto di riferimento essenziale per la filosofia moderna e contemporanea, riteneva quasi inutile la musica e sopportava soltanto qualche concerto di bande militari con le fanfare, ignorando gli incredibili sviluppi che avrebbe avuto dopo i suoi contemporanei Mozart e Beethoven (in realtà non apprezzava nemmeno le donne, tanto da preferire l’onanismo all’innamoramento). E che dire di Axel Weber, presidente della tedesca Bundesbank, che a fine agosto 2008 a Jackson Hole (Wyoming, Usa), alla conferenza annuale della Federal Reserve, affermò in piena crisi che il vero problema del momento era l’inflazione? Ne era talmente convinto da aver appena sostenuto il rialzo dei tassi d’interesse della Bce, mossa che anche una matricola d’economia in quello scenario poteva paragonare a una botta in testa a chi chiedeva aiuto. Si sa, le previsioni funzionano soprattutto nei cervelli dei ricercatori. Del resto, anche prima della grande crisi del 1929, buona parte degli operatori economici non riuscì a intravedere l’imminente collasso di Wall Street, anzi circolava l’idea dell’autorevole Irving Fisher che le quotazioni azionarie avessero raggiunto un altopiano permanentemente elevato. Ma, per ritornare alla filosofia, non va dimenticato quanto scrisse Hegel in una lettera dell’ottobre 1806 all’amico e collega Friedrich Niethammer, dopo aver scorto Napoleone a Jena: «È davvero una sensazione singolare vedere un tale individuo che qui, concentrato in un punto, seduto su un cavallo, spazia sul mondo e lo domina...» . L’imperatore che doveva incarnare lo spirito, nel volgere di qualche anno finirà sconfitto e in esilio; insomma, dureranno più le copie della Fenomenologia del filosofo sui banchi dei librai che quell’uomo fatale della storia. I re non sempre hanno un buon rapporto con le previsioni. È noto che Luigi XVI il 14 luglio 1789, mentre la Bastiglia stava cadendo nonostante gli sforzi del comandante che quel giorno aveva pranzato con i capi della sommossa, annotò nel suo diario che non c’era nulla di nuovo. E per rimanere in Francia, va aggiunto che Filippo, figlio di Luigi il Grosso, malgrado le congetture dei suoi astrologi cadde da cavallo per essere stato urtato da un maiale e morì (Michel de Montaigne nei suoi Essais non perde l’occasione). Una questione che deve aver causato riflessioni agli autori di previsioni sui capi di Stato o su personaggi di grande rilievo. Il 2004— come rileva il forum de «I cavalieri di Arianna» , che offre un elenco dei recenti errori sul futuro— si rivelò un anno fallimentare per i vaticini riguardanti il passaggio a miglior vita di Osama Bin Laden, Saddam Hussein, Fidel Castro e papa Giovanni Paolo II: tutti erano in vita alla mezzanotte del fatidico 31 dicembre. D’altra parte, nel 2007 si scomodò il solito Nostradamus, più flessibile di un elastico e adattabile a quel che si desidera, per annunciare la caduta di Ahmadinejad, che è ancora al potere. Anche quando non si provò la paura per una tragedia, la si ideò successivamente. La prova eccola nell’anno Mille. In numerosi testi si continua a ripetere che l’approssimarsi della fine del primo millennio cristiano causò nel mondo terrori di ogni sorta; qualcuno descrive religiosi itineranti che diffondevano paura ripetendo la celebre frase «mille e non più mille» , invitando gli uomini a prepararsi alla catastrofe. Ma, come ha sottolineato Georges Duby, queste visioni furono inventate dalla storiografia romantica e mancano vere testimonianze al riguardo. Addirittura, un m o n a c o d e l l ’ a b b a z i a d i S a -int-Benoît-sur-Loire, ripreso dallo storico francese, scriveva alla vigilia del terribile appuntamento: «Mi è stato raccontato che nell’anno 994, a Parigi, alcuni preti annunciavano la fine del mondo. Questi religiosi sono pazzi» . Insomma, casi isolati. Fra Dolcino, arso vivo a Novara nel 1307, era convinto che nel volgere di qualche anno il mondo sarebbe rotolato via come una vecchia pergamena, mentre gli anabattisti del XVI secolo attendevano l’apocalisse per il 1533. Non accadde. L’anno successivo aggiornarono la data.