MARINA VERNA, La Stampa 2/1/2011, pagina 19, 2 gennaio 2011
A Tallinn la notte dell’euro “Mai più ai piedi di Mosca” - Mia terra nativa...». Quando i campanili di Tallinn battono la mezzanotte, sul palco allestito per la festa di Capodanno nella Piazza del Teatro un coro di bambini attacca l’inno nazionale
A Tallinn la notte dell’euro “Mai più ai piedi di Mosca” - Mia terra nativa...». Quando i campanili di Tallinn battono la mezzanotte, sul palco allestito per la festa di Capodanno nella Piazza del Teatro un coro di bambini attacca l’inno nazionale. Hanno la mano destra sul cuore, nella sinistra una bandierina dell’Estonia. «Mio orgoglio e mia gioia...». La musica - nobile e fiera - trascina la piazza. Cantano le donne e gli uomini dell’era sovietica, cantano i loro figli che hanno appena finito di ballare nella neve al ritmo della rock band preferita, cantano i nonni con gli occhi lucidi. Come dire più e meglio l’orgoglio e la gioia di questo straordinario Capodanno, che vede l’ingresso dell’Estonia nell’euro e Tallinn capitale europea della cultura 2009? Da uno degli schermi tv ai lati della piazza il presidente Thomas Ilves fa il suo discorso alla nazione, ma la sua voce è coperta dai botti e dai fuochi artificiali, serpentine di luce che non riescono ad aprirsi perché si è rimesso a nevicare, la gente dispiaciuta fa ohh e intanto i maschi galanti tirano fuori dai tasconi bottiglie e bicchieri, i tappi fanno il botto e i baci lo schiocco, il discorso del Presidente si perde, chiaramente hanno sbagliato i tempi della messa in onda. Da una finestra del Teatro dell’Opera si affaccia il ministro delle Finanze, Jurgen Ligi, e sventola un biglietto da venti euro: nel foyer hanno messo un bancomat per fargli ritirare a mezzanotte in punto la prima banconota, lui ha solennemente infilato nella fessura la sua tessera e ha ritirato un po’ di contante, cedendo poi il posto ai primi ministri di Lettonia e Lituania, che una cerimonia del genere se la sognano, ci vorranno anni prima che arrivi il loro turno. Fuori, nella piazza, il vino caldo speziato scioglie le lingue e intristisce i cuori. Per la gioia dell’anno culturale c’è tempo, adesso è l’ora del lutto per la corona che se ne va, e con lei l’impressione di essere padroni del proprio destino. Olga è in piazza con la figlia di undici anni, e non è allegra: «Questo gala al freddo è l’unica cosa che possiamo permetterci, sono architetto ma da quattro anni non ho più avuto un incarico, adesso vendo maglioni al mercato, ma si lavora poco. I sacrifici per l’euro sono stati troppi, non eravamo pronti». Passano due ragazzi con dei rotoli sotto il braccio, vanno a incollare furtivamente manifesti a lutto per la corona, solo una croce e le date 1992-2010. Mihkel, che studia nell’antica e gloriosa università di Tartu, li segue con gli occhi: «L’opposizione all’euro c’è ma non è riuscita a diventare un vero movimento. Mi sembra che la gente abbia visto chiaramente i benefici a lungo termine, anche se oggi c’è molta malinconia. Io non ricordo l’abbandono del rublo, ma posso immaginare l’euforia di allora e capisco che sia difficile emotivamente lasciare la corona. Anch’io ho messo da parte biglietti e monete da far vedere ai miei figli...». Joane e il marito sono così anziani che ricordano ancora i marchi di Hitler: «Siamo tristi, le nostre corone erano la nostra indipendenza, non si rinuncia a un simbolo così forte per qualche vantaggio economico, ammesso che ci sia. E poi erano bellissime, più belle degli euro. Eravamo poveri ma fieri. E adesso? Mah!». Leino invece fa parte degli entusiasti: «Io accolgo l’euro a braccia aperte. Amo le nostre corone, ma anche l’euro è un simbolo: è il segno che le riforme degli Anni Novanta hanno avuto successo, che siamo stati accettati dall’Europa. Essere nel nocciolo duro è anche la garanzia che Mosca non ci prende più». Henri Kaarma è un giovane bancario sopravvissuto ai licenziamenti della proprietà svedese nell’anno della crisi e adesso, con la figlia sulle spalle, si avvia anche lui ai bancomat della città vecchia: «Non è stato un processo facile, ma adesso è fatta, abbiamo raggiunto l’obiettivo. Come ha detto il nostro ministro delle Finanze, è un piccolo passo per l’euro ma un balzo da giganti per l’Estonia. Però a me, come a molti, resta sullo stomaco l’idea che uno Stato piccolo, povero, frugale ma senza debiti come il nostro debba contribuire al salvataggio di Paesi più grandi e spreconi». Nella sobrietà degli estoni c’è una grande allegria. La band della Capitale della Cultura è fatta di una trentina di ragazzine coi tamburi di latta, che battono e si inchinano e ridono mentre davanti a loro un gigante biondo si sbraccia perché non perdano il tempo. Sono loro il simbolo fresco e gioioso di una Capitale della Cultura che già nel metodo di lavoro ha dimostrato di essere coraggiosa e innovativa. Per mettere insieme il programma Tallinn non ha scelto, come si usa, un gruppo di curatori ai quali dare carta bianca, ma ha interpellato la sua gente: cosa volete vedere, cosa volete fare, come volete cambiare la vostra città? Sono arrivate seicento idee, con un filo conduttore dominante: ridare il mare alla città. Perché Tallinn è una curiosa città costiera che all’acqua ha voltato le spalle: dal centro non si vede il mare e raggiungerlo è difficile,ci sono i terminal dei traghetti e poi solo capannoni dismessi, hangar abbandonati, vecchie fabbriche dell’era sovietica. Non una spiaggia dove correre, un lungomare dove annusare la salsedine e lanciare un amo, se non facendo molta strada. E dunque la gente, rispondendo alla campagna «Voi siete il volto della Capitale della Cultura», ha chiesto di raccontare e cantare storie di mare e marinai, di partenze e ritorni. Sognarlo, quel Baltico, per farlo rivivere. E come opera nuova, un Museo del Mare, collegato alla città da un chilometro di passeggiata. Dove sentire l’odore pungente e pescare il lucioperca.