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 2011  gennaio 03 Lunedì calendario

IL PRECARIATO E L’ARTICOLO 18 UNA OCCASIONE PERDUTA - I

giovani di oggi si trovano ad affrontare il futuro sapendo che avranno sul «gobbone» tutti gli errori del passato. Chi pagherà il debito pubblico? Chi si farà carico delle pensioni da pagare? Chi a fronte di tutto questo ha meno risorse destinate alla propria formazione e alle proprie opportunità? E avrà, se ha fortuna, una misera pensione? Senza dimenticarci di chi non avrà mai un lavoro in regola e quindi mai avrà una pensione. La generazione uscita dalla guerra affrontò incertezze ancora peggiori delle attuali. Io aggiungo però che quella generazione ricostruì un futuro ma senza avere sulle spalle la macchina statale enorme che si è creata nel frattempo, e assicurando pensioni come le attuali alle generazioni passate (che anzi in parte erano state tristemente spazzate via dalla guerra). La mia opinione è che l’attuale generazione di giovani si senta schiacciata da una parte e dall’altra. Ho 42 anni, mi sono laureata nel 1991 e penso di essere l’ultima generazione che si è veramente aspettata qualcosa (anche se poi non sempre l’ha avuta). Dopo di che è stata una lenta ma continua slavina verso il basso. Ma la generazione degli attuali sessantenni e più non ritiene di poter rinunciare a qualcosa? In senso collettivo? È la generazione che ha sprecato, che ha speso più di quello che aveva. E ora non vuole rinunciare ai privilegi che si è promessa da sola. Perché non rinunciare alle pensioni? Magari stabilire una pensione minima e che nessuno prenda più di quella. Non credo che sia giusto il sistema italiano: prendono gli anziani e poi aiutano figli e nipoti con la casa, le spese ecc. E i soldi da dove li prendono? Dai nostri contributi, se non sbaglio. I loro sono stati insufficienti.
Luisa Rubino, Milano
Cara Signora, le ho lasciato, con qualche indispensabile taglio, una buona parte della pagina perché la sua lettera conferma l’analisi di Giuliano Amato, due volte presidente del Consiglio, nella sua lunga intervista ad Aldo Cazzullo sul Corriere del 22 dicembre. Della situazione che lei descrive i responsabili sono principalmente i partiti politici e le organizzazioni sindacali (anche quelle dei datori di lavoro), tutti afflitti dal vizio che Tommaso Padoa Schioppa chiamava la «vista corta» , e inclini a proteggere i loro elettori e i loro soci con accordi di breve respiro che hanno continuamente ritardato la soluzione dei problemi. Credo, come Giuliano Amato, che una delle occasioni perdute sia stata la riforma dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (quello che disciplina i licenziamenti) in un momento in cui le aziende italiane avevano bisogno, per sostenere la concorrenza mondiale, di una maggiore flessibilità. Quando quella strada fu bloccata dalla resistenza sindacale, il governo cercò di riformare il mercato del lavoro con la legge Biagi: una buona legge, complessivamente, ma destinata ad avere applicazioni molto discutibili e a creare un considerevole precariato nel momento stesso in cui stava per concludersi la lunga marcia della riforma del sistema previdenziale. La strada imboccata ha avuto una serie di ricadute negative. Ha creato una generazione di «provvisori» , privi di veri percorsi professionali e condannati a livelli di vita che hanno avuto ripercussioni negative sull’economia dei consumi, vale a dire la situazione richiamata dal presidente della Repubblica nel suo discorso di fine d’anno. Ha «drogato» le aziende con mano d’opera a buon mercato, ritardato la loro modernizzazione e collocato l’Italia agli ultimi posti nella scala europea della produttività. E ha spinto la Fiat a fare da sé con formule innovative che dimostrano tuttavia l’impotenza della classe dirigente nazionale. Molti di coloro che oggi denunciano il precariato dovrebbero chiedersi se non abbiano anch’essi una parte di responsabilità.
Sergio Romano