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 2011  gennaio 03 Lunedì calendario

CASHMERE, SUPER RIALZI- COSI’ STA FINENDO L’ERA DEL «LUSSO DEMOCRATICO» —

Prima dominatore dispotico dei guardaroba di extralusso. Poi indirizzato gradatamente alla via democratica dell’accessibilità. Ora ci risiamo. Non sarà proprio un golpe ma i tempi sono cupi e i segnali inquietanti.
Il cashmere, uno dei massimi simboli di benessere dell’ultimo ventennio, morbido e rassicurante, caldo e metaforico, tattile e ubiquo (di culto la fotografia dell’ex sindaco di Milano Gabriele Albertini in mutande cashmirate), sta tornando alle origini: stop ai prezzi politicamente corretti, si torna alla dittatura di cifre quasi proibitive.
Quando una democrazia sta vacillando è perfettamente lecito esternare i timori, come conferma l’autorevole Le Monde in un articolo dove si dà per scontata una severa lievitazione (15-20 per cento) dei prezzi nella prossima stagione. «Sarà difficile rivedere — si legge sul quotidiano francese — pullover per le tasche di tutti, come è accaduto recentemente nella grande distribuzione dove Uniqlo e Zara hanno proposto capi di 40 e 70 euro» .
Soltanto capricci o fluttuazioni d’un mercato che risente di variabili impreviste esattamente come accade per l’oro o il petrolio?
Il problema ha diverse sfaccettature. Innanzitutto il rapporto fra domanda e offerta. Le circa 60 milioni di caprette Hircus che vivono in maggioranza nel deserto del Gobi, parte estrema (in tutti i sensi) della Mongolia, non possono dare più di tanto. Quest’anno inoltre a causa del gelo apocalittico che ha infierito sui poveri animali (peraltro abituati ai 20-40 gradi sottozero) è prevedibile un calo di materia prima attorno al 30 per cento.
È quindi pacifico che nelle prossime aste dove viene venduto il vello tosato e in cui i marchi italiani fanno la parte del leone, la concorrenza sarà ad alto contenuto agonistico.
La possibilità d’aumentare la popolazione caprina? Esclusa, perché allevare le Hircus fuori dal loro pur proibitivo habitat è impensabile. E poi sono già passate dai 15 milioni negli anni ’ 80 ai 60 di oggi per fronteggiare una domanda sempre più crescente e ora comprensiva pure del nuovo mercato cinese. Il progressivo impoverimento dei pascoli è il risultato di quella clamorosa moltiplicazione.
Il cashmere democratico, per altri versi squisitamente impersonato dall’ex leader di Rifondazione Comunista Fausto Bertinotti, sta dunque per diventare un ricordo?
«Staremo a vedere — risponde Pier Luigi Loro Piana, uno dei marchi leader nel settore —, anche se i prezzi sono destinati sicuramente a salire. A parte il pesante fatto climatico, il 2010 ha dato segnali timidi ma reali di ripresa nei consumi. Quando questo succede c’è subito una reazione a catena che alza la domanda. In qualche modo succede la stessa cosa per il cotone e per tutte le altre fibre naturali. Se di fronte ad aumenti, i consumatori puntassero per risparmiare su prodotti con fibre sintetiche sarebbe una sconfitta anche ecologica: quelle lavorazioni hanno un pessimo impatto sull’ambiente» .
Ma sono ipotizzabili cifre? «Probabilmente — conviene l’imprenditore-filosofo Brunello Cucinelli, altro marchio protagonista — il mercato mondiale si assisterà su un cashmere a 180-190 euro al chilo contro i 100 dei recenti anni passati. Ricordiamo però che nel 1990 il valore era attorno ai 200 euro: dunque non toccheremo i massimi storici. Tutto il male non viene però per nuocere: sarà una buona occasione per fare un discorso serio sulla qualità. Una capra offre cinque tipi di cashmere e soltanto quello sulla pancia è il più prezioso. Poi, senza offendere nessuno, i pull di cashmere fatti in Cina non sono paragonabili a quelli fatti in Italia» .
Evidente comunque che di fronte al previsto rincaro del cashmere a venire, bisognerà coccolare con particolare cura (naftalina e affini) quello già incamerato.
Gian Luigi Paracchini