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 2010  dicembre 31 Venerdì calendario

QUEI POLITICI E SINDACALISTI SENZA FABBRICA. IN POCHI ALLA PROVA DELLA CATENA DI MONTAGGIO

(due articoli) -

Andate a lavorare. Si fa presto a dirlo, ma quanti predicano senza averlo fatto? Nell´ultima polemica del 2010, quella tutta a sinistra tra sindacalisti e politici su chi possa vantare i calli alle mani, non sono molti coloro che riescono a far coincidere le posizioni pubblicamente assunte con la biografia. «Molti politici che dicono ai lavoratori di Mirafiori che cosa votare al referendum dovrebbero immaginare che cosa farebbero loro se lavorassero in fabbrica»: la provocazione di Maurizio Landini, segretario della Fiom, ha scoperchiato un autentico vespaio. E naturalmente la discussione su chi abbia lavorato e dove, ha finito per prevalere su quella originaria sugli accordi separati di Pomigliano e Mirafiori. E allora andiamo fino in fondo, a spulciare siti internet e sacri testi per capire che cosa hanno fatto nella vita i protagonisti dell´ultima rissa mediatica. Bisogna premettere che anche quelli del sindacalista e del politico sono mestieri e che non si può circoscrivere il mondo del lavoro alle catene di montaggio. Ma quanti tra coloro che fanno o hanno fatto la storia della sinistra si sono sporcati le mani di grasso in fabbrica o nei cantieri?
Non moltissimi. Tra i fortunati c´è il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, che negli anni ´60 era «manovale in un cantiere edile della Val di Sangro», come si legge sulla sua biografia. Non è la catena di Cipputi ma è certamente un lavoro faticoso. Un´esperienza di lavoro manuale ce l´ha anche il suo collega Luigi Angeletti, leader della Uil, che ha lavorato per lungo tempo presso la «Omi», un´azienda metalmeccanica di Roma. Diversa la biografia di Susanna Camusso che è arrivata alla Cgil occupandosi, per la Flm, dell´istruzione degli operai con il progetto delle 150 ore a Milano. Un percorso analogo a quello di Giorgio Cremaschi, su posizioni antitetiche a Camusso nella Cgil, ma anch´egli nato sindacalista con le 150 ore della Flm. Chi ha lavorato in fabbrica ma dietro una scrivania è l´ex impiegato Pirelli Sergio Cofferati, colletto bianco come l´ex ministro del Lavoro del Pd Cesare Damiano, impiegato alla Skf.
Se «fare il giornalista è sempre meglio che lavorare» (Luigi Barzini), allora risultano nullafacenti diversi esponenti della sinistra a cominciare da Nichi Vendola, che pure si sta spendendo a favore delle tesi della Fiom. Mentre sono certamente da annoverare nel partito di chi si è fatto le ossa in fabbrica l´apprendista saldatore Maurizio Landini e il suo predecessore alla guida della Fiom, l´operaio chimico Gianni Rinaldini.
Se la prende «con quelli della Fiom che non hanno mai strappato un filo d´erba in vita loro», Sergio Chiamparino. Ma lui stesso, nella biografia sul sito, ammette di non aver mai svolto un vero e proprio lavoro manuale: «I classici lavoretti da studente». Piero Fassino, che potrebbe succedergli a Torino come sindaco, narra nella sua biografia di essere passato direttamente dall´università al partito. A ben vedere quelle dei calli alle mani non sono stimmate così necessarie per potersi esprimere sulla vita degli operai in fabbrica: Giuseppe Di Vittorio era bracciante e in fabbrica non aveva mai messo piede. E anche Antonio Gramsci, pur avendo fondato il Pci, non ha mai lavorato in linea: a sua "discolpa" va detto che trascorse più di dieci anni nelle carceri fasciste. E forse questa è una prova più dura della catena di montaggio.

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PENNACCHI: «UN ANNO A STRINGERE BULLONI INVECE DI PARLARE A VANVERA» - DI DIEGO LONGHIN PER LA REPUBBLICA

«Non è vero che devi avere i calli alle mani per parlare di fabbrica, ma se non si ha né l´empatia né l´apertura mentale per capire quello che vuol dire è meglio stare zitti. E tra quelli che ho sentito in questi giorni pochi possono dire qualche cosa». Parola di Antonio Pennacchi, scrittore, vincitore del Premio Strega con il suo ultimo libro "Canale Mussolini" e operaio in pensione dopo oltre trent´anni di turni di notte.
Pennacchi, chi può parlare di lavoro in catena di montaggio?
«Io in fabbrica ho vissuto a lungo, come me Erri De Luca. Sergio Cofferati, ad esempio, non faceva l´operaio, ma sa benissimo di quello che si parla, di com´è la vita di un operaio. Sugli altri ho dubbi. Non solo fra i politici. Landini, il segretario Fiom, ha mai fatto l´operaio? Non credo. Mi sembra un capopopolo. A tutti quelli che parlano consiglierei una lettura».
Quale?
«Metello di Vasco Pratolini. Lo sto rileggendo in questi giorni per un lavoro che devo fare. Sarebbe utile».
Perché?
«Si sta tornando a quella situazione. Non solo. Gli operai non devono rinunciare solo ai diritti, ma devono pure impegnarsi a non rompere le scatole in fabbrica. Stessi ancora al lavoro sarei arrabbiato pure con la Fiom. Parte della colpa sta nella divisione sindacale, nel massimalismo, nel dire no e nel non trattare. Il fronte diviso è più debole e Marchionne ne ha approfittato».
Ma lei un periodo di lavoro in fabbrica lo consiglierebbe?
«Certo, bisognerebbe farsi un anno in catena di montaggio. Sarebbe utile a tutti. Gli eredi Agnelli hanno fatto un periodo in qualche stabilimento. Così si impara veramente cosa vuol dire. È vero che l´intelligenza sta nelle mani, peccato che il ministro Sacconi lo dica perché vuole che i figli degli operai continuino a fare gli operai. Il lavoro con le mani serve a mettere in moto il cervello. Ho scritto la tesi di laurea in fabbrica, su Benedetto Croce».
Dove lavorava?
«Sono entrato alla Fulgorcavi di Latina molto giovane, poi è diventata Alcatel Cavi e ora Nexans, ma la vogliono chiudere. Producevo cavi elettrici e telefonici. Lavoravo su macchinari complessi, a ciclo continuo, coprivo sempre la notte. E i compagni, quando mi sono messo a studiare, mi davano una mano. Va, che guardiamo noi, mi dicevano».
Deve ringraziare loro se è riuscito a laurearsi e a diventare scrittore?
«Certo, mi hanno aiutato, anche quelli che non capivano e che mi dicevano vieni ad imbiancare gli appartamenti con noi che guadagni qualche cosa in più. Alla fine sono stato uno di loro che ce l´ha fatta: quando ho vinto lo Strega sono andato a festeggiare in fabbrica».
Ha approfittato della cassa integrazione per iscriversi a lettere?
«Sì, un periodo di cassa per crisi. Poi sono rientrato e ho continuato a studiare e scrivere. Dopo essere stato espulso dalla Cgil avevo finito la mia fase politica e sindacale, mi volevo dedicare ad altro».
Cosa ricorda del lavoro all´Alcatel?
«La fatica, il periodo di autogestione all´inizio degli anni ‘80 per salvare la fabbrica. Bisogna battersi per migliorare le proprie condizioni, ma bisogna farlo anche per salvare l´azienda, altrimenti non c´è più nulla. E poi l´attaccamento al lavoro. I veri operai tengono al prodotto e sono convinti di fare sempre il miglior prodotto. E hanno rispetto solo per quelli che sanno lavorare».