Fabio Sindici, La Stampa 2/1/2011; Gino Bartali, La Stampa 2/1/2011, 2 gennaio 2011
BARTALI-MALAPARTE, LA STRANA COPPIA
«Quel naso triste come una salita, quegli occhi allegri da italiano in gita». Il naso di Gino Bartali, come lo ha cantato con orgoglio commosso Paolo Conte, in realtà era un trucco. «Pochi conoscono il mio vero volto, perché i miei lineamenti sono stati ricostruiti dal chirurgo del maresciallo Balbo». È lo stesso campione a parlare, e la sua voce arriva a distanza, come una sorpresa, uno scherzo di Ginettaccio, da pagine abbandonate a lungo in un cassetto. «Il naso di Gino Bartali è truccato» motteggia. La storia in parte è nota, ma qui il campione la racconta in dettaglio. «Sono stato raccolto sulla strada, a Grosseto, il 24 maggio 1934, durante una corsa che si chiamava Coppa Vecchioni. Poi sono rimasto incosciente per diversi giorni. La mia faccia, a causa dell’incidente, era frantumata ed ero irriconoscibile. È stato solo un mese più tardi che il chirurgo personale del maresciallo Balbo mi sottopose a un’operazione molto delicata dalla quale dovevo riuscire tale come sono».
I fogli sembrano le bozze di articoli di giornale. Hanno titolo e sottotitolo. Sono battuti a macchina, in francese. Firmati Gino Bartali. E, cosa singolare, sono stati ritrovati, durante una vendita privata, in un gruppo di carte appartenute a Curzio Malaparte. Ci sono lettere indirizzate allo scrittore e le bozze del romanzo satirico Don Camaleo. I fogli dattiloscritti - una cinquantina, divisi in undici capitoli, o articoli - sono accanto a una serie di ritagli di giornali sportivi francesi, sui successi e la rivalità tra Gino Bartali e Fausto Coppi. Le memorie a puntate iniziano all’indomani della seconda vittoria di Bartali al Tour de France del 1948. Per poi andare a ritroso. Sembrano destinate a una rivista, francese o belga. Altra coincidenza curiosa, Malaparte nel ’47 aveva scritto una serie di articoli su Coppi e Bartali, le «due facce dell’Italia» per il giornale Sport Digest . Poi raccolti in un libro (ripubblicato in Italia da Adelphi). È possibile che queste pagine inedite siano frutto di una collaborazione tra lo scrittore e il ciclista, uniti da simpatia e amicizia?
«La carta, giallina, sembra la stessa utilizzata in quegli anni da Malaparte, e anche i caratteri della macchina da scrivere corrispondono» dice Matteo Noja, che cura l’archivio dello scrittore di Prato e che ha potuto vedere parte di queste memorie. «È strano però che Malaparte, con il suo carattere da protagonista, abbia accettato di fare da scrittore-ombra al campione» aggiunge. Amici e mattatori entrambi, i due toscani. Anche Andrea Bartali, figlio di Gino, ha esaminato alcune pagine. «Riconosco molti aneddoti e anche il tono, la voce di mio padre» dice. Insomma, un piccolo mistero letterario. A tratti, nel primo articolo, pare di sentire il ritmo della penna di Malaparte: «L’alba è fresca. Ho appena aperto la mia finestra sul Palais Royal. Mi hanno detto, ieri sera, che questo era il cuore di Parigi. Un amico italiano, che è anche molto parigino, mi ha raccontato che davanti alle mie finestre, nel XVIII secolo, nel mezzanino, abitavano le cortigiane. Ci si divertiva, al primo piano […]. Guardo il mio orologio. Sono le 5. Fa le 5 l’orologio di Gino Bartali, ragazzo di Toscana, che viene da una vittoria al Tour de France».
In altre pagine è la voce di Bartali che si fa sentire, come quando discute della sua rivalità con Coppi, che gli fa tornare la voglia di vincere, dell’insofferenza per la stampa sportiva italiana, o quando racconta di un’udienza da Pio XII al quale regala una bicicletta nera, da donna. O ancora, quando si diffonde negli aneddoti. Un luminare fiorentino nel 1934 gli dà pochi giorni di vita. Gino si è sentito male nella pasticceria dell’amico Berti, con il quale divide la passione per i dolci. Il medico lo ausculta e diagnostica una broncopolmonite in fase critica. Gli prescrive una terapia d’urto. Secondo Bartali è il suo cuore da diesel a salvarlo. «Il mio cuore è come un motore a combustione lenta. Un diesel. È meno nervoso e più potente. Non sono adatto allo sforzo brutale. La mia superiorità è nello sforzo intenso e sostenuto». Alla fine, il dottore gli predice il massimo della condizione fisica intorno al 1950. Sbaglia di poco. Due anni prima Ginettaccio vincerà, a sorpresa, il suo secondo Tour de France.
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«1946: io stavo male, e Coppi filava come un diavolo...» di Gino Bartali
Vi voglio raccontare un episodio che è tra i più impressionanti della mia carriera. Avevamo fatto tappa a Pescara [nel Giro d’Italia del 1946, ndr]. Avevo mangiato del pesce che mi aveva attorcigliato gli intestini. L’alba mi sembrava crudele. […] Coppi doveva essere stato informato. […] Non avevamo fatto ancora dieci chilometri di una tappa che avrebbe dovuto essere calma, che Coppi lanciò il suo attacco. Filava come un diavolo!… come uno di quegli enormi pesci dei Mari del Sud, che niente può distogliere dalla loro traiettoria. Vivevo l’istante drammatico. Vedevo la gambe di Coppi girare a un ritmo folle. Il suo corpo non si muoveva, ma il suo assetto incurvato, la sua schiena tesa come un arco rivelava lo sforzo di una violenza eccezionale. La macchina Coppi girava alla perfezione, neanche il minimo cedimento. […]
Sentivo le mie ginocchia indurirsi, nello sforzo di stare attaccato alle sue due ruote che continuavano a divorare la strada in souplesse . Poi, come delle tenaglie mi presero alle caviglie. […] Udii una voce nelle mie orecchie: «Lascia… è più forte… lascia che vada…». In quel momento preciso, l’insensibile macchina Coppi ridivenne miracolosamente umana. Coppi spezzò il suo sforzo, tanto rigido quanto una sbarra d’acciaio, per constatare il risultato del suo lavoro. Girò la testa, io ero lì nella sua scia… e nessuno dietro di noi. Non so quale ispirazione mi fece articolare queste parole: «Allora sei già stanco?… Il traguardo è ancora lontano…».