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 2011  gennaio 02 Domenica calendario

LE DIECI GUERRE CHE MINACCIANO IL NUOVO ANNO


Iraq L’incognita del ritiro americano
Dopo otto anni, le truppe americane lasceranno nel 2011 l’Iraq. Il compito del nuovo governo, ancora fragile e privo di efficienti forze militari, sarà garantire la sicurezza dei cittadini. Gli attentati sono diminuiti, ma gli estremisti ripartono all’attacco. E il vicino Iran ha ambizioni egemoniche sulla zona.

Pakistan I talebani alzano il tiro
Almeno dieci milioni di profughi dopo le catastrofi del monsone, e terroristi islamici sempre più organizzati, anche nelle città. Queste le sfide più difficili del presidente Zardari, indebolito da scandali e corruzione. Intanto i militari sono inquieti e non combattono i talebani con l’energia che gli Usa vorrebbero.

Costa d’Avorio Duello aperto tra presidenti
Il presidente uscente della Costa d’Avorio, Laurent Gbagbo, ha proclamato che non intende cedere alle pressioni internazionali nè al suo rivale Alassane Ouattara, che gli ha ingiunto di lasciare la presidenza del Paese. «Non cederemo», ha affermato Gbagbo in un discorso alla nazione, trasmesso in tv, in occasione del Capodanno, denunciando «un tentativo di colpo di Stato condotto sotto l’egida della comunità internazionale». Le Nazioni Unite e numerosi altri Paesi, inclusi diversi Stati africani, hanno chiesto a Gbagbo di lasciare il potere e riconoscere il suo rivale Alassane Ouattara come presidente legittimo, in seguito ai risultati delle presidenziali del 28 novembre scorso. La tensione, quindi, è destinata a salire ancora: i rischi di una guerra civile sono sempre più evidenti.

Guinea Scontri etnici alle porte
L’incertezza regna in Guinea: nonostante il giuramento di Alpha Condé, il presidente eletto il 16 novembre nelle prime consultazioni democratiche dopo 52 anni, il Paese resta sotto il rigido controllo dei militari. E non accennano a diminuire le tensioni tra i due gruppi etnici principali, i Peul e i Malinke.

Somalia Gli islamisti all’attacco
I guerriglieri islamisti di Al Shabab, alleati di Al Qaeda, controllano molte zone nel Sud del Paese e lottano per Mogadiscio. Finora il governo somalo provvisorio resiste, appoggiato dalla forza di pace dell’Unione Africana. Se crollerà, il rischio è il dilagare del terrorismo islamico nella regione, fino all’Uganda.


Libano Sale la tensione con Israele
Resta sempre grave la crisi politica che paralizza da tempo il Libano: da una parte il premier Saad Hariri, sostenuto da Arabia Saudita e Stati Uniti, e dall’altra l’opposizione, guidata da Hezbollah e appoggiata invece dalla Siria e dall’Iran. Al centro di tutto c’è la discussione sulla legittimità del Tribunale speciale, incaricato di fare luce sull’omicidio nel 2005 dell’ex premier Rafiq Hariri, padre di Saad, e sulla lunga catena di attacchi che negli ultimi ha insanguinato il «Paese dei Cedri». Gli esperti di politica internazionale temono una possibile «escalation», mentre il movimento scita guidato da Hasan Nasrallah nega ogni responsabilità sull’assassinio e ha accusato la corte di essere nient’altro che «un progetto israeliano». Questo scontro politico potrebbe preludere a una nuova guerra contro Israele.

Sudan Il referendum si allontana
Il governo di Khartoum minaccia di far saltare il referendum per l’indipendenza del Sud del Sudan, fissato per il 9 gennaio. La decisione segue l’annuncio del «Movimento popolare per la Liberazione» di voler anticipare il voto di un secondo referendum per l’autonomia della ricca zona petrolifera di Abyei.

Messico Nella morsa della droga
Quattro anni fa il presidente Felipe Calderón ha dichiarato guerra ai cartelli della droga. E guerra è stata, con oltre 30mila vittime. La sfida del prossimo anno è quella di riportare la legalità e rilanciare l’economia, anche grazie agli aiuti degli Usa. Altrimenti il Messico rischia di sprofondare nel caos.

Congo Il piano dei ribelli
In palio ci sono enormi ricchezze nel sottosuolo del Congo. Da una parte c’è il governo centrale, dall’altra i guerriglieri delle regioni orientali, isolate da giungle impenetrabili, crudeli e violenti. Nessuna delle due forze è in grado di prevalere, ma entrambi hanno la capacità di continuare le ostilità, che costano milioni di morti.

Haiti Un leader fantasma e l’incubo della rivolta
Sedici gennaio: è la data prevista per il secondo turno delle elezioni presidenziali, dopo le accuse di brogli e gli scontri che hanno gettato un’ombra pesante sul voto del novembre scorso. Molti analisti, tuttavia, temono nuove esplosioni di violenza e una possibile discesa di Haiti nel baratro della guerra civile. A rendere la situazione drammatica sono le conseguenze del devastante terremoto del gennaio scorso, che ha ucciso più di 300 mila persone. In quella che è una delle nazioni più povere del mondo l’emergenza è sempre più grave, con l’epidemia di colera che appare fuori controllo e ha già fatto oltre 3 mila vittime. Le autorità non riescono a riprendere il controllo del Paese e, anzi, negli ultimi giorni si sono moltiplicati gli episodi di aggressioni e linciaggi. Almeno 45 persone sono state impiccate dall’inizio dell’epidemia, perché accusate dalla folla inferocità di essere responsabili della diffusione del morbo.