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 2010  dicembre 30 Giovedì calendario

BORSE: PRIMO DECENNIO IN ROSSO - I

postumi della sbornia hi-tech, il crollo delle Torri Gemelle, lo scoppio della bolla immobiliare e la crisi dei mutui subprime, il fallimento di una banca storica e blasonata come Lehman Brothers. Se si snocciolano gli eventi, finanziari e non, che hanno caratterizzato gli ultimi 10 anni dei mercati non si fatica certo a dare una ragione al decennio nero delle Borse, il primo del nuovo millennio, che si concluderà domani e che molti investitori probabilmente non rimpiangeranno.

A meno di imprevedibili sconvolgimenti nelle ultime due sedute l’S&P 500, il principale indice di New York e barometro per il globo intero, si ritroverà su un livello inferiore del 4,7% rispetto a fine 2000 con buona pace dei fautori della bontà dell’investimento azionario nel lungo termine. Potrà sembrare poca cosa, ma mai era successo nel dopoguerra, neanche nei tempestosi anni 70 della crisi energetica. Per trovare un periodo ancora più buio occorre risalire agli anni 30 (l’indice Dow Jones, riferimento di allora, si era svalutato del 20%) della grande depressione, non a caso da molti paragonati ai giorni attuali.

Chi nello stesso lasso di tempo avesse investito su titoli di stato decennali – Bund, Treasury o BTp – si ritroverebbe in tasca circa il 70% in più, cedole comprese. Più o meno quanto chi ha puntato sul mattone in una città italiana. Il vero affare lo avrebbe però compiuto chi avesse acquistato un’oncia d’oro perché i 270 dollari di dieci anni fa si sono nel frattempo quintuplicati. Ma è anche vero che in Borsa non tutto è stato da buttare in questi ultimi dieci anni e c’è anche chi ha dato soddisfazioni.

Logico guardare alla Cina e in generale ai paesi emergenti (+241% l’indice Msci a loro dedicato), che da tempo viaggiano a un’altra velocità rispetto alle economie «avanzate». Ma è anche naturale guardare alla Germania (il Dax ha guadagnato l’8,4%), simbolo di solidità e di competitività in grado di emergere dalla palude europea (-22,2% lo Stoxx 600) nel periodo in cui ha iniziato a circolare l’euro.

Meno immediato invece rilevare che il tanto vituperato Nasdaq termina il decennio addirittura in rialzo del 7,8%, un’anomalia che si spiega in due modi: negli Usa la crisi tecnologica si è consumata quasi tutta nel 2000 che non rientra nel conteggio (spostando i termini indietro di un anno il bilancio si sarebbe trasformato un bagno di sangue) e la pulizia ha lasciato sul campo aziende sane in grado di innovare veramente e di resistere alle successive crisi. La Apple di Steve Jobs è forse l’esempio più lampante, se è vero che il suo titolo ha moltiplicato il valore di 44 volte da fine 2000.

L’Europa, sotto questo aspetto, fa ancora una volta storia a sé: di qua dall’Atlantico i tecnologici (i pochi passati dal setaccio) hanno rappresentato il settore più debole e fatto da contraltare all’avanzata dell’old economy – materie di base, industriali e perfino auto – del tutto inaspettata dieci anni fa quando la rampante Tiscali capitalizzava addirittura più della Fiat. Ma il dato più rilevante, se si vogliono capire anche le dinamiche dei listini dei singoli paesi è quello dei finanziari, il settore relativamente più pesante a livello continentale.

Banche e soci hanno fatto il bello (e soprattutto) il cattivo tempo negli ultimi dieci anni, volando negli anni d’oro della finanza strutturata e cadendo rovinosamente quando il castello di carte è miseramente crollato. Tanto l’indice settoriale europeo quanto quello Usa segnano una riduzione del 50% in dieci anni, non a caso la stessa debacle sofferta da Piazza Affari, dove la presenza di banche e assicurazioni è preponderante.

Gli ultimi mesi dell’anno che si sta per concludere sembrano di buon auspicio per il nuovo decennio e gli strategist sono concordi nell’indicare che allo stato attuale esiste più valore nelle azioni che nei bond. Previsione apparentemente scontata, visti i rendimenti rasoterra del reddito fisso. A fine 2020 sapremo se avranno preso un altro abbaglio.