Giuseppe Berta, Il Sole 24 Ore 30/12/2010, 30 dicembre 2010
IL RISCHIO RICORRENTE DEL SINDACATO D’OPPOSIZIONE - L
e relazioni industriali, che possono attraversare lunghi periodi di opacità, acquistano a volte improvviso rilievo, fino a conquistare un’imprevista centralità nell’arena politica. È successo in passato, con il grande scontro sulla revisione della scala mobile, che a metà degli anni 80 radicalizzò il confronto tra il governo e l’opposizione comunista in Parlamento e nelle piazze fino a sfociare nel referendum del 1985, un passaggio importante nella storia politica italiana. Ma spesso è stata proprio la Fiat ad accendere l’interesse e a scatenare le polemiche sul mondo del lavoro e della produzione.
La più grande impresa italiana è stata uno dei teatri maggiori del conflitto nell’Italia repubblicana: lo è stata negli anni del "miracolo economico", ma anche più di recente, per esempio nel 1988, quando i sindacati si divisero sul premio di risultato, con una divaricazione tra le organizzazioni dei metalmeccanici di Cisl e Uil, da un lato, e Fiom-Cgil dall’altro, che non aveva nulla da invidiare, quanto ad asprezza di toni, al clima di oggi.
Sfogliando le cronache di allora, si può notare che i giudizi con cui venne bollato quell’accordo separato sono assai simili a quelli odierni. Anche all’epoca si parlò della volontà di escludere la Fiom e di restringere il campo della contrattazione aziendale ai soli sindacati "amici". Negli anni seguenti, la frattura venne ricomposta, anche se lasciò dietro di sé un durevole sostrato di diffidenza tra le varie sigle sindacali.
Se guardassimo solo alla storia, potremmo essere tutto sommato autorizzati a credere che i contrasti col tempo sono destinati a rientrare e anche le opposizioni più rigide a sopirsi. La vita di fabbrica, per fortuna, ha una sua densa materialità, che finisce col piegare alle esigenze di regolazione concreta le controversie ideologiche, specie quando appaiano gravate di un sovraccarico di retorica. Occorre infatti entrare nel dettaglio delle procedure che formano l’involucro necessario all’attività lavorativa. E allora, di fronte agli aggiustamenti pratici, prevale la ricerca dei dispositivi capaci di assicurare la continuità della prestazione di lavoro.
L’intesa raggiunta ieri a Pomigliano d’Arco si colloca nel solco dell’attuazione della newco che dovrà assumere la gestione dello stabilimento Fiat. È ovvio che, a meno di una settimana dal nuovo accordo separato per Mirafiori e in attesa che sia convalidato dal referendum tra i lavoratori, la normativa definita a Pomigliano divenga motivo ulteriore per rinfocolare la protesta della Fiom, subito pronta a dichiarare uno sciopero per il 28 gennaio. A questo punto, i metalmeccanici della Cgil sembrano risoluti a voler giocare una partita estremamente difficile e rischiosa.
A giudicare dalle dichiarazioni, si direbbe che la Fiom intenda soprattutto accreditarsi come sindacato di opposizione, anzi come una forza determinante dell’opposizione sociale nel paese e nelle fabbriche. Pare improbabile che miri davvero a rovesciare il risultato del prossimo referendum; piuttosto, punta a raccogliere il dissenso di tutti coloro che non accettano la strategia della Fiat e la vedono connessa a un disegno di stabilizzazione sociale. Ormai, nemmeno la Fiom può pensare che agli stabilimenti italiani della Fiat verrà garantito un futuro senza l’introduzione della nuova organizzazione del lavoro e degli orari e senza il sistema di regole e di sanzioni che l’accompagna. Di fatto, sa che la nuova normativa dovrà passare, ma conta di capitalizzare nel tempo il proprio atteggiamento di resistenza.
Potrà farlo? Sì, se si approderà a un contratto per il settore dell’auto, tale da riportarlo nella tipologia dei contratti collettivi sotto l’egida della Confindustria. Un simile contratto potrebbe riassorbire i contenuti degli accordi di Pomigliano e di Mirafiori, ma in una cornice in cui varrebbero di nuovo le regole consuete per le rappresentanze di base. In tal caso, la Fiom potrebbe giovarsi del proprio potere di contestazione.
Ma è chiaro che il percorso verso il contratto dell’auto esige tempo e non ci si potrà arrivare che dopo aver superato le tormentate questioni del presente. Intanto, ieri si è accentuata la tensione sempre più evidente tra la Fiom e la sua confederazione, che si sta riverberando sulla sinistra, ormai divisa anch’essa tra il «sì» e il «no» alla Fiat. Per tornare alle lezioni del passato, merita ricordare che la lacerazione del 1988 alla Fiat poté essere sanata anche grazie al fatto che, dopo, a guidare la Fiom fu chiamato un valente dirigente sindacale – e riformista autentico – come Fausto Vigevani.