Giorgio Dell’Arti, La Stampa 30/12/2010, PAGINA 86, 30 dicembre 2010
VITA DI CAVOUR - PUNTATA 55 - ARRIVANO I GIORNALI
Ma perché? Non si sa. Fu allora che il medico di Tortona, Domenico Carbone, compose la famosa canzone del re Tentenna. La conosce? «In diebus illis c’era in Italia, Narra una vecchia gran pergamena, Un re che gli era, fin dalla balia, Pazzo pel gioco dell’altalena. Caso assai raro nei re l’estimo; E fu chiamato Tentenna primo. Or lo ninnava Biagio, or Martino; Ma l’uno in fretta, l’ altro adagino. E il re diceva: m’affretto adagio; Bravo Martino, benone Biagio». Biagio era Solaro, e Martino Villamarina. Alla fine «morì Tentenna; ma ancora incerto / Di tener l’occhio chiuso od aperto; /E fu trovato, forza dell’uso / Con l’uno aperto, con l’altro chiuso» . All’arrivo della polizia, Carbone, per non essere arrestato, dovette inghiottire presto presto le bozze di stampa che teneva nel portafoglio. Ma intanto tutta Torino si faceva beffe del re cantando la sua canzone. Come mai però Carlo Alberto, dopo le cariche del 1˚ ottobre, non cadde in un discredito completo? La gente vedeva passare per strada Corboli Bussi, il monsignore che era venuto da Roma a proporre la Lega, e lo salutava cordialmente. Nonostante tutto, qualcosa stava succedendo. Il Villamarina, che era anche Ispettore generale di Polizia, si dimise sostenendo che lui con le cariche del 1˚ ottobre non c’entrava. Carlo Alberto accettò le dimissioni e gli tolse anche il ministero della Guerra. In questo modo faceva uscire dal gabinetto un preteso liberale, e poteva adesso cacciare l’altro ministro, il reazionario. Ma, guardi com’era fatto: in battaglia avrebbe dimostrato parecchio coraggio, ma a casa sua aveva paura di un suo ministro. Ricevette Solaro e non riuscì a dirgli niente. Due ore dopo gli mandò una lettera in cui lo destituiva. Le due rimozioni (un liberale e un reazionario, secondo il tipico sistema-tentenna) vennero annunciate insieme, sullo stesso numero della Gazzetta Ufficiale.
Servirono a placare gli animi? No. Gruppi di fischianti si radunavano ogni sera sotto le finestre del governatore La Tour, in piazza San Carlo, ritenuto responsabile dei pestaggi. Le guardie a cavallo non riuscivano a mandarli via: una volta fuggiti, risbucavano da qualche altra parte. Balbo scrisse un biglietto a Carlo Alberto: il regno di Sardegna è ormai indietro sia rispetto a Roma che a Firenze, che figura faremo se gli austriaci nel Lombardo-Veneto faranno qualche concessione? Genova era in tumulto. Fu suonato l’inno per Carlo Alberto e nessuno applaudì. Nella chiesa dell’Annunziata, folla enorme per il triduo dedicato al Papa. L’ultimo giorno passarono un biglietto al predicatore. Questi lo lesse ad alta voce: «Si apra una sottoscrizione per comprar armi al Pontefice!». Subito le dame presero a girare e a raccattar denaro. Si misero insieme parecchie migliaia di franchi. Certe signore, colte alla sprovvista, non avevano soldi e lasciarono cadere nei sacchetti orecchini, anelli. Situazione completamente sfuggita di mano. Al posto del Villamarina era stato chiamato Mario Broglia di Casalborgone. Agli Esteri Ermolao Asinari di San Marzano. In definitiva due sconosciuti. Di Ermolao, Minghetti scrisse: «uomo colto, d’incorrotta fama pure, ma un po’ inclinato al bigottismo e agli scrupoli, e di più solito ad essere dominato dalla moglie ungherese, congiunta della principessa di Metternich» . Severino Cassio, che ci aveva parlato mezz’ora a Napoli, lo giudicava «excentrique et faible». Era anche venuto a Torino lord Minto, inviato da Londra per capire cosa stesse succedendo in Italia. A Torino, doveva incoraggiare la Lega e ammonire che gli inglesi non avrebbero tollerato modifiche territoriali nella penisola, quindi i piemontesi non si sognassero guerre d’indipendenza. Minto spiegò a Carlo Alberto che, a quel punto, sarebbe stato più pericoloso resistere che concedere. Tra il 22 e il 25 ottobre, a Palazzo, si tenne consiglio di conferenza. La città era pattugliata dal reggimento Novara. In piazza San Carlo s’erano radunate almeno cinquemila persone, stavano ammassate tutte da un lato della piazza, i soldati dall’altra parte. Si fissavano e poteva succeder qualcosa. Ermolao, a Napoli, era stato ambasciatore e aveva visto dove possono condurre certe tensioni. «Io concederei qualcosa, Maestà» disse. Subito Revel e Castagnetto gli diedero ragione. Il re vide che assentivano anche Des Ambrois e Avet. In definitiva, si trattava d’esser coerenti con la lenta azione riformatrice cominciata fin dagli anni Trenta. Il granduca di Toscana aveva già mollato parecchio. E il 1˚ novembre il re doveva partire, come sempre, per Genova, dove avevano minacciato di accoglierlo a cannonate. Carlo Alberto disse: «Va bene» e firmò l’editto delle riforme. Pubblicato il 30 ottobre 1847.
Parlamento? Costituzione? No, ancora no. Si ammetteva che si sarebbero fatte elezioni per i consigli comunali. Che si sarebbero tenuti registri di stato civile indipendenti da quelli delle parrocchie. Pubblicità nei processi e Corte di Cassazione. La polizia tolta al ministero della Guerra e affidata all’ amministrazione civile. Soprattutto si dava il permesso di far giornali.