Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  dicembre 30 Giovedì calendario

LA SFIDA DEI DIZIONARI DEL CINEMA

Che mattoni. Per peso, non per qualità, s’intende. Come ogni anno, o quasi, so­no usciti sotto le feste il Mere­ghetti , il Morandini e il Fari­notti .
I tre più popolari dizio­nari del cinema, fondamen­tali per gli appassionati e di pronta utilità per tutti gli al­tri. Unica controindicazione la volumetria: il più leggero, il Morandini , ha 2047 pagi­ne; il più pesante, il Mereghet­ti , è composto di tre volumi per un totale di 5345 pagine; in mezzo c’è il Farinotti : 2516 pagine. Occhio quindi a non portarveli a letto, come fosse­ro, che so, i gialli di Montalba­no: potrebbero restarvi sullo stomaco.
Ma quali sono le differenze sostanziali fra le monumen­t­ali opere dei tre riconosciu­ti maestri della settima ar­te? Be’, Farinotti va giù più spiccio, anche perché fa il riassunto di ben 35 mila tito­­li, diecimila più di Mereghet­ti e di Morandini, che in com­penso si producono in anali­si più sofisticate. A diffe­renza di Farinotti, i due M ci danno l’elenco de­gli attori e dei registi ci­tati, fornendo, come del resto il collega, an­che i titoli originali.
Indicazioni prezio­sissime per chi non ricorda il titolo di un film, ma si rammen­ta soltanto del no­me del protagoni­sta.
Veniamo al dun­que: il giudizio criti­co. Morandini, forse per ragioni anagrafi­che, privilegia le pelli­cole d’autore. Per esem­p­io va matto per i giappo­nesi, tra gli ultimi nelle preferenze dello spettato­re medio, quello da un paio di film al mese. Per dire, nel­l’elenco dei suoi cento registi preferiti, al terzo posto c’è Kenji Mizoguchi, preceduto sul podio da Sergej M. Eizen­stein ( sì lui, lo spernacchiatis­simo padre de La corazzata Potemkin) e da Jacques Tati. Primo tra gli italiani Fellini (12˚), con Antonioni solo 35˚. Cinque stellette, ovvero il massimo suffragio, Moran­dini, con l’avallo della figlia Luisa, li assegna quindi a ge­ni, spesso incompresi, co­me Bergman, Cronen­berg e Almodóvar.
Nel­la lista non poteva­no mancare i russi, come Tarkovskij. E naturalmente Aleksandr Sokurov, il cui ca­polavoro del ’97, Madre e fi­glio , è contrassegnato, oltre che dalle cinque stellette del­la critica, anche dal giudizio del pubblico: ahinoi, un solo pallino di gradimento. Che potrebbe coincidere con l’unico spettatore italiano che ha visto il film.
Farinotti preferisce la tra­ma, il più possibile sintetica, alla critica pura, nella certez­za che il lettore voglia sapere di cosa parli il tale film piutto­sto che affidarsi alla guida del critico. Un’ammirevole prova di modestia che per­mette di lasciare più spazio ai titoli e meno alle chiacchie­re colte, anche se poi a classi­ci immortali come Via col vento , cui Farinotti, e la figlia, guarda caso di nome Rossel­la, dedicano addirittura una colonna intera con corolla­rio di cinque stellette cinque. Lo stesso trattamento, nel senso di giudizio, non di ri­gaggio, riservato a pochi altri miti, come Casablanca e 8
1/2 .
Infine, ecco il Mereghetti , il più famoso e probabilmente anche il più venduto,che l’in­tuizione del dizionario l’eb­be per primo, nel lontano 1993. Per il critico milanese, in antitesi con i due colleghi, il top del gradimento sono quattro stellette, non cin­que. Ne deriva che sono una moltitudine i titoli gratificati col supremo alloro. Troppi dei quali nel rituale passag­gio televisivo vanno in onda nel cuore della notte. Incura­bile snobismo del recensore o sconfinata insipienza dei responsabili dei palinsesti? Chi, per certificata insonnia o temeraria fiducia, si appre­sta a sintonizzarsi sulla tv del­le tenebre, sappia che in ag­guato c’è il rischio bufala. Co­me per il micidiale, incom­prensibile (al popolino), Mulholland Drive di David Lynch o l’estenuante Viaggio all’inizio del mondo , «un in­tenso ed emozionante pelle­grinaggio nelle radici e nelle memorie».È l’ultimo filmdel povero, davvero sfortunato, Marcello Mastroianni, che l’oggi centounenne e grazie al cielo ancora attivissimo portoghese Manoel de Olivei­ra diresse ai tempi d’oro, quando di anni ne aveva sol­tanto ottantotto. Chissà qua­l­e magia bolle già nell’inesau­ribile pentola del Grande Vecchio. L’attesa risposta con il Mereghetti 2013 .