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 2010  dicembre 30 Giovedì calendario

LE STRADE DEL RISORGIMENTO

Le battaglie del Risor­gimento sono state combattute strada per strada, piazza per piazza. Ma non solo quando si trattò di cacciare, baionette alla ma­no, le truppe di Francesco Giu­seppe o di inscenare molto più fratricidi scontri con le truppe del Regno delle Due Sicilie o con i «briganti». Anche quando fucili a luminello e cannoni era­no già tornati nelle armerie, la conquista delle città restava in­fatti da ultimare: a colpi di tar­ghe, dediche e statue. Nel cinquantennio seguito al­le guerre d’indipendenza la to­ponomastica, e in alcuni casi an­che la topografia, delle città ita­liane è stata cambiata. Trasfor­mata in propaganda «del nuo­vo che avanza»: nuovo che in quel caso era incarnato dai valo­r­i patrii appena reinventati e da­gli eroi italici, freschi di meda­glie e di ferite sul campo. Ecco allora tutto un fiorire di Corso Vittorio Emanuele II, Piazza Ga­ribaldi, Largo Cavour, Via Maz­zini... Tanto che una stradina linda e nuova si finiva per darla a tutti, persino a Carlo Pisacane. Eppure dato che c’è strada e strada, piazza e piazza, questa gigantesca operazione pedago­gico- pubblicitaria si trasformò in un braccio di ferro politico che solo da pochi anni gli storici hanno iniziato a studiare in ma­niera intensiva, inserendolo in un quadro più ampio e non limi­­tato solo a saggi locali. Ecco allo­ra che studiosi come Matteo Morandi ( nel suo Garibaldi, Vir­gilio e il Violino edito da Franco Angeli) relativamente a Cremo­na e Mantova o Barbara Bracco, relativamente a Milano, hanno delineato lo sviluppo dell’«odo­nomastica »(l’insieme dei nomi delle strade, piazze, e più in ge­nerale, di tutte le aree di circola­zione di un centro abitato). Ad esempio, a Mantova già dal 1867 il programma pedagogico si incentrò sul terzetto Virgilio, Tazzoli, Garibaldi. Garibaldi era l’eroe risorgimentale nazio­nale per eccellenza, don Enrico Tazzoli (uno dei martiri di Bel­fiore) il contributo locale alla causa, Virgilio il richiamo alla tradizione, la radice antica del rinnovamento. Vittorio Ema­nuele II e Cavour arrivarono a pochi mesi di distanza, ma co­munque dopo: a Mantova era­no forse più per il Risorgimento «dal basso». Altrove, il dibattito era, invece, su come completa­re la damnatio memoriae dei precedenti regimi, come quello dei Lorena. A Cremona già dal 1860 si discuteva della necessi­tà «di battezzare con nuova de­nominazione quella porta che richiama tuttora austriache re­miniscenze... ». L’unico freno a far diventare Porta Garibaldi la vecchia Porta Margherita d’Au­stria era che da lì uscivano i «giu­stiziati a morte» e non sembra­va carino attribuire un simile pe­so all’Eroe dei Due mondi.
E la discussione, come spiega al Giornale lo storico Mario Isnenghi, esperto di Risorgi­mento e di mito garibaldino ( tra gli altri libri segnaliamo il recen­tissimo Garibaldi fu ferito.
Il mi­to, le favole , Donzelli) spesso partiva da particolari e finiva per sancire il vero status politi­co degli eroi da piazza, da corso e da vicolo:«A noi la “topografia risorgimentale” arriva tutta as­sieme ma è nata con una preci­sa cronologia e gerarchia. Ad esempio, Mazzini fu messo a lungo in lista d’attesa, a volte lo sdoganamento ha richiesto an­che mezzo secolo. A Torino per avere un monumento a Mazzi­ni si è dovuto attendere sino alla Prima guerra mondiale. E ci vol­l­e tutta una trattativa tra il sinda­co e i Repubblicani. Tra le con­tropartite ci fu il quasi contem­poraneo posizionamento di una statua di Don Bosco... E an­che come iconografia... Mazzi­ni è sempre ritratto seduto, do­lente, un uomo anziano con le gambe coperte, che pensa. Il Re e Garibaldi hanno sempre una spada in mano... dominano, Mazzini a Torino venne messo dove prima c’era un vespasiano».
Secondo Isnen­ghi, infatti, i veri vin­citori per il dominio delle strade furono proprio Garibaldi e Sua Maestà, a dan­no anche del pove­ro Camillo Benso conte di Cavour: «Il Re rappresentava il Risorgimento di Sta­to, Garibaldi anda­va bene per far con­tenti i rivoluzionari ma si poteva sem­pre i­nterpretarlo co­me il Garibaldi dell’“ Obbedisco”,di Tea­no... Cavour è stato offuscato dall’om­bra del Re. Poche statue, gli è andata un po’ meglio con le strade...».Ma in que­sta «guerra»di popo­­larità c’è stata an­che una seppur per­dente forma di resi­stenza della tradi­zione popolare: «A Padova c’è piazza Garibaldi, ma in mezzo è rimasta una statua della Ma­do­nna quasi a esor­cizzare la presenza laica... del resto sia­mo in Veneto. E le di­rò di più: la piazza prima si chiamava piazza dei Noli per­ché lì si trovavano le carrozze da prendere in affitto, e ci fu chi di­fese il vecchio nome. Oggi che siamo tutti più attenti alla storia forse ci schiereremmo a mag­gioranza per il mantenimento dei nomi della tradizione, li pro­teggeremmo. Ma all’epoca lo fe­cero solo quelli che amavano poco il nuovo corso...».
E non è nemmeno che la lot­ta delle targhe stradali si sia chiusa allora, spiega sempre Isnenghi: «Ci sono state altre due grandi ondate di rinnova­mento toponomastico, una do­po la Prima guerra mondiale e una con la caduta del fascismo. L’unica strada che è sempre an­da­ta bene a tutti è piazza del Po­polo, va bene per tutte le stagio­ni... ».