Mario Deaglio, La Stampa 27/12/2010, 27 dicembre 2010
SIAMO TROPPO VULNERABILI ALLE EMERGENZE
I marziani invadono la Terra con grandi astronavi, distruggono, uccidono e niente sembra in grado di fermarli. E’ questa la storia raccontata da H G Wells in uno dei primi classici della fantascienza, «La Guerra dei Mondi», nel lontano 1897. Quando però tutto sembra perduto, ecco gli extraterrestri fermarsi, vacillare e restare stecchiti: non avevano tenuto conto dei germi presenti sul nostro pianeta contro i quali mancava loro qualsiasi difesa.
Nel tormentato anno che sta per finire ci scopriamo pericolosamente simili ai marziani di Wells: supertecnologici e inaspettatamente vulnerabili. Sono bastate poche decine di centimetri di neve per bloccare i tre principali aeroporti europei, a Londra, Francoforte e Parigi. Il traffico aereo del continente ne è rimasto sconvolto con il rischio di rovinare la stagione turistica e ridurre i già tenui segnali di ripresa economica. Le meraviglie della tecnologia aeronautica sono state tenute in ostaggio dalle debolezze di un’altra tecnologia, assai meno sofisticata, quella della spalatura della neve. Ma c’è di più: pur con gli enormi passi avanti degli ultimi 10-15 anni, la meteorologia ha forti difficoltà a prevedere l’intensità in un determinato luogo delle perturbazioni che annuncia per intere regioni. Sono inoltre emerse - non solo sulle autostrade italiane - gravi impreparazioni nell’affrontare le emergenze.
La combinazione vulnerabilità tecnologica-debolezza previsiva-impreparazione organizzativa non è purtroppo un caso isolato ma tende anzi a divenire più frequente. Nel 2005 il ciclone Katrina sgretolò le dighe costruite a protezione della città di New Orleans, determinando una caotica evacuazione degli abitanti.
Enonostante la loro elevata efficienza logistica in campo militare, gli Stati Uniti si rivelarono incapaci di organizzare ragionevolmente i soccorsi. Nel 2008 la rottura accidentale di un cavo sottomarino al largo delle coste egiziane provocò una settimana di blackout informatico nel Medio Oriente, con ripercussioni fino al Giappone: per quel semplice cavo, infatti, passava gran parte del sofisticatissimo traffico Internet tra l’Occidente e l’Asia. E dodici mesi fa aspettavamo ancora trepidanti un’influenza aviaria che minacciava una mortalità elevatissima mentre si trattò di una delle più blande epidemie dei tempi recenti. L’acquisto di vaccini contro questa malattia, rivelatasi pressoché immaginaria, costò somme enormi a governi e contribuenti.
Il 2010 ha visto un’accentuazione della nostra vulnerabilità, dalla «nube nera» determinata dall’eruzione a sorpresa di un vulcano islandese, anche allora con effetti disastrosi sul traffico aereo, al terribile inquinamento, dovuto alla «marea nera» del Golfo del Messico conseguenza di un incidente su una piattaforma petrolifera; le attuali tempeste di neve e gelo sono quindi l’ultimo episodio di una lunga serie.
I casi più clamorosi di vulnerabilità riguardano però l’economia: la crisi dei mutui subprime ha trovato impreparati osservatori e operatori, le contromisure economiche hanno dato origine non solo a una ripresa assai più debole di quanto si sperasse ma anche a una disoccupazione che nessuno sa bene come curare. L’inizio del 2011 vede in primo piano un altro caso di vulnerabilità economica: quello dei titoli del debito pubblico dei Paesi più deboli, la cui solidità è posta in discussione da grandi operatori, ai quali è stato consentito di operare praticamente senza regole, e di spingere così l’intero sistema finanziario internazionale lungo una china pericolosa.
Il tutto rientra nella logica della globalizzazione che porta Paesi e persone a specializzarsi in nome dell’efficienza. Oggi un esperto elettronico ha bisogno di un esperto in elettrodomestici per riparare la sua lavatrice mentre il secondo ha bisogno del primo per riparare il suo computer; se le comunicazioni si interrompono, nessuno dei due guasti viene riparato, mentre dieci o vent’anni fa entrambi gli esperti sarebbero stati in grado di provvedere alla propria riparazione. La logica dell’iperspecializzazione si sta rivelando troppo miope, costruita nell’ottica di un vantaggio immediato, nella speranza che gli eventi negativi non si verifichino mai. Purtroppo, come apprendiamo a nostre spese, tali eventi si verificano.
La cosiddetta legge di Murphy, secondo la quale, se c’è qualcosa che può andar storto, si può star certi che andrà storto, ha un fondamento di verità e porta a concludere che non è sufficiente cercare di progettare un mondo genericamente «sostenibile», occorre invece progettare un mondo «robusto», ossia in grado di sopportare eventi imprevisti di intensità inusuale. Le debolezze attuali non si limitano certo alla vulnerabilità dei trasporti e al cattivo tempo: in un’epoca di operazioni bancarie compiute mediante computer e telefonino, il sistema dei pagamenti risulta privo di opzioni di riserva, di reti di sicurezza. Sono bastati, nel maggio 2010 alcuni minuti di cattivo funzionamento del sistema informatico delle borse americane a provocare un crollo improvviso, pericoloso, di dimensioni mai viste, negli indici di Borsa.
Mentre la nostra vulnerabilità aumenta, continuiamo ad essere stupiti e impreparati a emergenze che, con l’avanzare delle specializzazioni, diventano sempre più frequenti. Le opzioni di riserva diventano per conseguenza sempre più necessarie. Dobbiamo provvedere in fretta: tecnologie, economie e società non possono avanzare perennemente senza rete.