SHARON LAFRANIERE , la Repubblica 29/12/2010, 29 dicembre 2010
SPIE, FAME E CELLULARI I MISTERI DI PYONGYANG
Le squadre femminili di calcio giocano fuori da una grande palestra. Due giovani spose, una in abito bianco, l´altra in rosa intenso, sposano i loro amati in una piazza innevata. Alcuni genitori tirano le slitte dei figli. La gente fa la fila davanti ai chioschi per comprare patate dolci e pancake. Una visita di 6 giorni a Pyongyang, capitale della Corea del Nord, dà la possibilità di gettare uno sguardo, attentamente monitorato, su un Paese dove la realtà e la fantasia sono abituate a mescolarsi. Anche se non ci sono segni evidenti di un collasso imminente, la visita aiuta a capire perché la Corea del Nord oggi potrebbe essere ansiosa di uscire dall´isolamento.
Da circa 4 anni, un´implacabile raffica di propaganda governativa promette che la Corea del Nord sarà forte e prospera entro il 2012, centenario della nascita di Kim Il Sung, fondatore della nazione e padre dell´attuale leader, Kim Jong Il. Mancano 18 mesi e prospero è l´ultima parola che verrebbe da usare per descrivere le industrie chiuse, i raccolti scarsi e i bambini rachitici. Forse pensando a questa scadenza la Corea del Nord la scorsa settimana, ha fatto quella che potrebbe essere una proposta per ridurre l´isolamento: possibili aperture sui controlli al loro programma nucleare. E ha reagito solo con la retorica alla decisione della la Corea del Sud di riprendere le esercitazioni di artiglieria nei pressi delle acque contese.
Il Paese ha 24 milioni di cittadini e i tre milioni che abitano a Pyongyang sono i più privilegiati. Tuttavia anche qui ci sono segni di difficoltà: i pendolari si accalcano in autobus elettrici decrepiti, stretti l´uno all´altro come in una scatola di stuzzicadenti. Per strada, si vede gente piegata sotto immensi fagotti legati alla schiena, apparentemente pieni di merci da vendere in quei mercati privati che hanno soppiantato i mal riforniti empori statali. Nella maggior parte di Pyongyang c´è elettricità solo per alcune ore al giorno. Altrove, in particolare nelle province settentrionali, gli abitanti raccontano che i bambini che mendicano infestano i mercati, che le famiglie scavano alla ricerca di germogli e di funghi e che gli operai delle aziende di stato ricevono dei salari nominali, quando va bene. Nelle strade di Pyongyang si nota invece qualche segno di relativo benessere: ci sono telefoni cellulari, oggetti sconosciuti solo due anni fa. Gli abitanti dicono che ci sono più macchine e più semafori di tre anni fa, anche se il traffico rimane scarso.
I giornalisti ottengono raramente un visto per la Corea del Nord, una delle società più chiuse e più militaristiche del mondo. Il governo ha di recente concesso a due giornalisti di accompagnare il governatore del New Mexico, Bill Richardson, in missione a Pyongyang. Richardson ha cercato di limitare la minaccia di un conflitto tra la Corea del Nord e quella del Sud.
Visitare Pyongyang è come entrare in una realtà parallela. Le scorte ufficiali si attaccano ai visitatori come il velcro. Le regole sono chiare: niente interviste senza permesso, nessuna esplorazione oltre il parcheggio dell´albergo. Ognuno è controllato da vicino, con tattiche che ricordano un brutto film di spie della Guerra Fredda. Gli ospiti dell´hotel ci avvertono che ai tavoli della sala da pranzo sono state applicate delle cimici e che un pannello della parete è in realtà uno specchio.
Visitando il Paese si capisce che l´inflazione sui prezzi dei generi alimentari è un problema cronico, nonostante la radicale svalutazione della valuta un anno fa. Secondo alcune stime, il reddito medio di una famiglia consente a una persona di mangiare due tazze e mezzo di riso al giorno, ammesso che non abbia altre spese. Le interviste realizzate negli ultimi sei mesi con circa 20 nord-coreani recentemente emigrati in Cina suggeriscono che la fiducia nella politica economica della leadership è scossa, se non svanita. I nord-coreani sanno bene che i sud-coreani vivono molto meglio, mentre il loro governo chiede costantemente dei sacrifici. Alcuni criticano il predominio della politica militare su quella civile e sperano che Kim Jong Un, figlio di Kim Jong Il e da lui scelto come successore, cambierà politica. La maggior parte, però, appoggia la politica che Kim Jong Il sostiene ormai da 15 anni e che mette al primo posto le questioni militari: vedono gli Stati Uniti come un nemico implacabile e la Corea del Sud come uno strumento degli americani, a cui Washington impedisce di unirsi con il Nord. Manifesti, canzoni patriottiche, giornali e film ribadiscono continuamente questo messaggio. «Anche se non mangiamo, diamo alle forze armate tutto ciò che possiamo», ci ha detto una ex professoressa. Attualmente lavora come domestica in Cina, ma vuole tornare a casa. «Le armi nucleari significano che non possiamo essere invasi».
Il patriottismo nord-coreano riecheggia a ogni fermata dell´itinerario ufficiale del viaggio. In una fabbrica di seta Choi Hyok, 43 anni, il capo ingegnere, magro come un chiodo, ricorda la visita del presidente nel 2009. «Mi sono sentito come se fossi uscito dal buio per immergermi nella luce». Nam Dae Yong, 20 anni, studente di geologia all´università Kim Il Sung, si meraviglia ancora nel vedere i 2.000 computer installati in aprile. «È un bellissimo regalo da parte del presidente», dice. E´ un´università modello. Come lo è la fabbrica. Ma gli economisti ritengono che 3 fabbriche su 4 siano ferme, prive di energia elettrica e di materie prime. «La gente parla molto del 2012, di come diventeremo un Paese forte e prospero - ha detto il mese scorso un commerciante di 45 anni a Human Rights Watch - ma nessuno ci crede davvero. Tiriamo solo avanti».
(Copyright New York Times - La Repubblica. Traduzione di Luis E. Moriones)