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 2010  dicembre 29 Mercoledì calendario

VITA DI CAVOUR - PUNTATA 54 - LA POLIZIA CARICA

Non erano scienziati? Raccontò poi Minghetti: «Questi congressi avevano poca efficacia al progresso delle scienze, erano ritrovi di cultori di esse, i quali, nelle intime conversazioni, assai più profittavano che nelle sedute formali» . Ci si accorse che in quel 1846 scadevano i cent’ anni del sasso tirato da Balilla contro gli austriaci. Ecco dunque pellegrinaggi dei congressisti in piazza di Portoria, cui seguì la decisione di celebrare il Balilla in tutt’ Italia, vi furono infatti a dicembre fuochi sulle montagne ligure e piemontesi, in Toscana, in Romagna e anche giù, fino all’Etna.

Carlo Alberto? Sempre zitto. Si mormorava che avesse fatto rientrare di nascosto Mazzini a Torino, per tenerlo come consigliere (balla gigantesca). Solaro voleva andare a Roma, « centro di tutte le mene e congiure per iscandagliar il precipizio e veder da se stesso quanto rischio fosse di cadervi» . Il re concesse. Il ministro ci rimase quindici giorni e tornò preoccupatissimo. Riferì «la rivoluzione non a farsi, ma fatta» , «i busti di Gregorio XVI, in molte provincie, essere stati villanamente insultati, l’autorità senza forza, lo slancio delle passioni tener del delirio, essere ormai impossibile calmare l’effervescenza, ed a meno che l’Austria e la Francia intervenissero, una catastrofe essere inevitabile» . Carlo Alberto fece in modo di non riceverlo. Discuteva segretamente con i democratici, attraverso il segretario cavalier Canna e il bibliotecario cavalier Promis. Ma, fuori, non dava a veder niente. «Una sfinge coronata, che forse non si capiva neppure da sé» (Bersezio). Senonché in luglio gli austriaci occuparono Ferrara, e Carlo Alberto vide l’ occasione di far la guerra che piaceva a lui, cioè in difesa della religione. Bisognava solo che il papa lo chiamasse… Ammise nel Regno qualche giornale dalla Toscana e dallo Stato pontificio, fino ad allora proibiti, comunicò a Solaro che ormai era in disgrazia in tutti gli ambienti (sperava si dimettesse), licenziò Michele di Cavour dalla carica di vicario di polizia sostituendolo con un moderato conte Galli, mandò infine una lettera abbastanza folle al nuovo congresso dell’Agraria, che si teneva nel Palazzo della Scuola di Santa Caterina a Casale. «L’ Austria ha comunicato una nota a tutte le Potenze, in cui dichiara di voler ritenere Ferrara, credendo di averne diritto. Al mio ritorno da Racconigi ho trovato una gran folla davanti al palazzo: dimostrazione decentissima e senza grida. Se la Provvidenza ci manda la guerra dell’ indipendenza d’ Italia, io monterò a cavallo coi miei figli, mi porrò alla testa del mio esercito e farò come Sciamil in Russia; che bel giorno sarà quello in cui si potrà gridare alla guerra per l’ indipendenza d’ Italia».

Perché «lettera folle»? Erano esagerazioni, colpi di testa, mosse di un uomo troppo emozionato e che non aveva il controllo della situazione. Infatti, poco dopo risvoltò a destra. I tre marchesi Doria, Balbi e Raggi, che erano venuti da Genova con una petizione, non furono ricevuti e si sentirono dire dal Villamarina che, quanto alla Guardia Civica e alla libertà di stampa, non c’era da pensarci, specie alla libertà di stampa che, degenerando in licenza, sarebbe stata fonte di gravi pericoli. La guerra di liberazione nazionale? Essere falsa la voce che il re avesse intenzione di muovere in armi per l’ indipendenza altrui. I tre marchesi tornarono a Genova delusi. Il 1˚ ottobre, vigilia del compleanno di Carlo Alberto, era stata preparata una manifestazione di giubilo sulla pubblica passeggiata con l’idea di andar poi sotto le finestre del Nunzio apostolico a cantare l’Inno a Pio IX - era infatti venuto da Roma il maestro Magazzari, che aveva musicato l’ inno e insegnato ai torinesi le parole «Su rompete le vane dimore, / Accorrete all’ invito di Pio: / Basti Ei solo a destarvi nel core, / la scintilla che l’ ozio ammorzò» - gli organizzatori erano andati dal conte Galli a chiedere il permesso, il conte Galli aveva garantito che la cosa sarebbe stata gradita, eccoli tutti riuniti e invece a un tratto «dagli sbocchi delle varie strade che circondavano quel pubblico passeggio ora distrutto, precipitarsi sulla folla inerme manipoli di soldati, brigate di Carabinieri, e frotte di sgherri anco travestiti della Polizia, i quali, senza intimazione, senza preavviso, urtano, investono la turba, spingono, percuotono, feriscono, agguantano, traggono con maltrattamenti in arresto i primi che loro capitano sotto le mani. A capo della schiera principale che si slanciò contro le frotte della massa popolare stava il famoso commissario di Polizia, Tosi, famoso per villana insolenza e per millantatrice ferocia contro tutti i cittadini non nobili e più contro i sospetti di liberalismo, il quale, con in pugno una pistola, minacciava, insultava, abbrancava egli stesso tutti quelli cui poteva arrivare, superando nella grossolana violenza il più grossolano dei suoi sgherri…» (Bersezio).