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 2010  dicembre 29 Mercoledì calendario

Chi si rivede la storia al replay - L’ 11 e il 12 settembre 2001 la maggior parte dei giornali americani recava in prima pagina la stessa grande immagine: la nuvola aranciata dell’esplosione del secondo aereo contro una delle Twin Towers, mentre dall’altra agonizzante si levava una nuova di fumo nerastro

Chi si rivede la storia al replay - L’ 11 e il 12 settembre 2001 la maggior parte dei giornali americani recava in prima pagina la stessa grande immagine: la nuvola aranciata dell’esplosione del secondo aereo contro una delle Twin Towers, mentre dall’altra agonizzante si levava una nuova di fumo nerastro. Clément Chéroux, storico della fotografia, conservatore al Centre Pompidou e autore di vari libri, ha analizzato le prime pagine dei quotidiani americani e ha appurato che quasi la metà (41 per cento) riportava l’esplosione della seconda torre, oppure la nuvola nera di fumo (il 17%), e in misura minore le rovine, l’aereo che si dirige contro il bersaglio o scene di panico. L’11 settembre è stato un avvenimento eminentemente visivo, pensato in questa chiave dagli stessi attentatori: la scelta delle due torri è dovuta anche alla possibilità di far inquadrare il secondo attacco aereo dai mass media presenti a Manhattan, macchine fotografiche e telecamere. Il tutto produce uno straordinario effetto di replay, accresciuto dal fatto che i principali network americani, e di conseguenza le televisioni di tutto il mondo, trasmisero per ore e ore, in loop , le immagini dell’avvenimento. Chéroux ha scritto un saggio intitolato Diplopia (Einaudi) con l’intento di capire, non solo il modo con cui la stampa ha percepito gli attentati, ma soprattutto il modo in cui ha voluto rappresentarli mediante la fotografia. L’omogeneità visiva di queste fotografie si fonda su pochi temi: l’esplosione, la nuvola, l’aereo, la rovina, il panico e la bandiera americana. Come si è arrivati a questi scatti riprodotti sulle pagine? I redattori dei giornali, per distinguersi dalla televisione, davanti a cui era presumibile che i lettori avessero già trascorso parecchio tempo, scelsero non l’icona dell’aereo che colpisce la torre, bensì la nuvola, senza dubbio dotata di una forte carica simbolica. Con la sua forma indeterminata essa esprimeva molto bene lo stato di confusione in cui si trovava quel giorno l’America stessa; il messaggio era: «aspettiamo un attimo che la polvere e la cenere siano posate a terra per fare congetture». L’autore ragiona sulla standardizzazione dei contenuti iconografici della stampa americana proprio di fronte all’avvenimento più fotografato della storia del fotogiornalismo. Un numero notevole di apparecchi fotografici erano puntati verso le Twin Towers, ma sono solo 30 le fotografie presenti sui giornali americani del 12 e del 13 settembre, e sempre le stesse. Perché? Una prima ipotesi riguarda una sorta di autocensura verso le immagini più crude e scioccanti: teste, frammenti dei corpi, i jumpers , coloro che si erano gettati dalle Torri. Chéroux segnala inoltre che delle 400 prime pagine americane da lui prese in considerazione, circa il 72 per cento ha immagini d’una sola agenzia di stampa, Associated Press: auto-censura, nel primo caso, e ecocensura, nel secondo. Ma l’aspetto più interessante che emerge dal suo saggio riguarda il déjà-vu , ovvero gli stilemi presenti nelle immagini scelte dai giornali. Qui il suo ragionamento si fa più sottile e interessante. La scelta della nube di fumo non è casuale, poiché richiama le immagini di un altro incendio, quello di Pearl Harbor, il 7 dicembre 1941: l’attacco proditorio del Giappone agli Usa. Un parallelo ben presente nei titoli dei giornali, nei discorsi di George W. Bush, e nell’immaginario bellico che ne è scaturito: Ground Zero nel linguaggio militare designa il punto d’impatto della bomba atomica. Ma c’è anche un altro déjà-vu prodotto dall’immagine dei pompieri di NY che issano la bandiera americana sulle rovine TWC, presente in molte copertine di riviste, che richiama la celebrefoto dei soldati Usa a Iwo Jima nel febbraio del 1945 che piantano al suolo la Stars & Stripes. Due cliché ben attivi nella memoria degli americani. Chéroux ha intitolato il suo libro alla diplopia, un disturbo visivo per cui si percepiscono due immagini di un solo oggetto, un «veder doppio» che riguarda un problema molto importante: il rapporto tra memoria e storia. Oggi noi viviamo, scrive, nell’« età della commemorazione» (Pierre Nora), nel Memory Boom, fondato sulla «memoria-ripetizione», in cui la funzione dei mass media scritti e visivi è decisiva: la storia non si ripete, la storia è invece ripetuta dai mass media, i quali inseguono anniversari, centenari, bicentenari. Sono gli straripamenti della memoria, come li definisce Le Goff, che fanno a pugni con la storia intesa come costruzione sempre problematica e incompleta di ciò che non è più. La stampa partecipa in modo formidabile all’infatuazione memoriale, moltiplicando il ricorso al passato per spiegare il presente utilizzando sia i testi sia le immagini. Dall’indagine sulle fotografie nelle prime pagine dei quotidiani americani dell’11 settembre esce un discorso sulla progressiva standardizzazione della memoria, «una forma di globalizzazione, meno visibile, più sorniona di quella che abitualmente consideriamo». Così le specificità di ogni avvenimento storico, conclude Chéroux, come le particolarità della loro percezione, risultano in ogni paese sottomesse ai medesimi processi di uniformazione. Una conclusione amara, ma su cui si dovrà riflettere.