LINDA GRILLI E GIANNA MILANO, La Stampa 29/12/2010, pagina 27, 29 dicembre 2010
Basta un clic. E chi va su Facebook può trovarsi a condividere - suo malgrado - informazioni su farmaci
Basta un clic. E chi va su Facebook può trovarsi a condividere - suo malgrado - informazioni su farmaci. A segnalare un caso recente un «post» che diceva: «Big Pharma non dovrebbe usare i social media». Novartis aveva messo sul social network più famoso un «widget», ossia una finestrella condivisibile, e chi cliccava trovava indicazioni su Tasigna, nuovo medicinale per la leucemia mieloide cronica. Se ne sottintendeva la superiorità sugli altri farmaci, si lodava l’efficacia, ma si omettevano possibili effetti collaterali. Un messaggio scorretto che ha meritato una tirata di orecchie da parte dell’Agenzia americana per il controllo sui farmaci, la Fda, che ha inviato una lettera di ammonimento: «Togliete subito quel link da Facebook». Cosa che è stata fatta. Intanto, però, milioni di persone hanno avuto accesso a informazioni inappropriate, tra l’altro su un farmaco non ancora in commercio. I link nei motori di ricerca Un caso isolato? Affatto. Solo nel 2009 la Fda ha spedito 14 notifiche ad altrettante aziende farmaceutiche per aver sponsorizzato link in motori di ricerca dove si pubblicizzavano i loro prodotti con nome, indicazioni e poco o nulla sulla sicurezza. In un mondo di consumatori ormai globalizzato Internet ha cambiato lo scenario dell’informazione. E, seppure in ritardo, anche le multinazionali del farmaco hanno scoperto la promozione online, attraverso il Web 2.0, come Facebook, Twitter, Youtube, ma anche su siti e motori di ricerca. «Le strategie di Web marketing possono così bypassare regolamentazioni governative severe e raggiungere in contemporanea migliaia di persone, lanciare campagne di allerta su alcune malattie e modi per curarsi, sfuggendo più facilmente ai controlli delle autorità sanitarie», spiega Eugenio Santoro, responsabile del Laboratorio di informatica medica al Mario Negri di Milano e autore del libro «Web 2.0 e Medicina» (Il Pensiero Scientifico). Un tipo di «marketing» che costa assai meno della pubblicità diretta dei farmaci (consentita negli Usa e non ancora in Europa) e della promozione tradizionale (attraverso informatori farmaceutici, lobbying, incentivi ai medici): si stima che Big Pharma spenda più di un terzo del suo bilancio in promozione, il doppio di quanto investe nella ricerca. Un giro di circa 60 miliardi di dollari l’anno. Le trappole sono molte e chi non le riconosce corre seri rischi. Nel sito dell’università del Michigan, che ha ricevuto da ElyLilly per il suo «Centro anti-depressione» una donazione di 750 mila dollari, compare una brochure - «Beyond Sadness» - e una lista di sintomi per un’autodiagnosi e capire se dietro la tristezza si cela la depressione. A sinistra della pagina Web la promozione della «malattia» e a destra quella del farmaco, Cymbalta. (http://www.bonkersinstitute. org/beyondsadness.html). «Ci sono molti blog che non si fanno problemi ad accettare entrate pubblicitarie: è il caso di Diabetes Mine (http://www.diabetesmine.com), aperto alle inserzioni di aziende farmaceutiche che producono pompe di insulina, ma anche blog di medici o di società scientifiche che volentieri accettano pubblicità», racconta Santoro. In Polonia - come denuncia «Australian Prescriber», pubblicazione indipendente sui farmaci, (http://www.austrlianprescriber.com) - Sanofi-Aventis è andata oltre, fornendo ai medici apparecchiature di connessione alla Rete già caricate con annuari farmaceutici, abstract di studi clinici, pareri di opinion leader e materiale commerciale da scaricare su Internet. In cambio, ai medicisi chiedeva di testare farmaci sui loro pazienti e poi inviare i dati. «Un modo per rafforzare i legami tra l’industriae i sanitari che hanno partecipato all’iniziativa e che portano, tra l’altro, ad aumentare le prescrizioni dei loro farmaci», precisa «Australian Prescriber». Blog e siti Web servono, si sa, a creare nuove relazioni. E nuovi consumatori. Negli Usa GlaxoSmithKline ha aperto un sito per guidare gli utenti a perdere peso con la dieta, ma anche con farmaci antiobesità, come la Sibutramina (Orlistat il nome commerciale) (all’indirizzo http://alliconnect.com). Le conversazioni tra gli utenti consentono di raccogliere informazioni, ma anche di veicolarne altre, mascherate. «A dialogare nel blog spacciandosi per utente può insinuarsi chiunque. Se un certo Fabio confessa online che a lui una certa medicina ha fatto perdere peso, quali garanzie ci sono che il messaggio sia autentico e non di un “attore” con interessi specifici?», si chiede Santoro. In altri casi il produttore compare, ma in modo poco esplicito e dedica intere pagine Web a un farmaco, come Getquit.com, gestito da Pfizer per chi vuole smettere di fumare e prende la Vareniclina (http://www. getquit.com/sites/getquit/Pages/index.aspx). Ci sono poi industrie farmaceutiche che utilizzano Youtube per campagne pubblicitarie «virali», in cui la diffusione dei messaggi è ad alto contagio. Inserendo per esempio nella finestra della ricerca di Youtube la parola Champix, compaiono filmati che discutono di esperienze con la Vareniclina. Non è chiaro se chi vi compare sia un utente soddisfatto del prodotto o qualcuno pagato per impersonarlo. Il burattinaio è occulto. Tra i video più gettonati Sempre su Youtube, tra i video pubblicitari più gettonati, ci sono quelli delle pillole per dormire, come il Rozerem: è mattino, un giovane assonnato trova nella cucina Abramo Lincoln e un castoro che gli suggeriscono come riconquistare i sogni. (http://www.youtube.com/watch?v= wdpOIaGnzvA: 36545 visite). Non compare il marchio commerciale e quindi si sfugge a ogni restrizione legale. L’interazione crea veri e propri circoli sociali virtuali, dove lo scambio di video, post, presentazioni di power point e informazioni è a gettito continuo. È il caso di Pfizer, che attraverso il «social media channel» SlideShare ha avviato una nuova strategia di diffusione di documenti, presentazioni e video basata sugli strumenti del Web 2.0. http://www. slideshare.net/pfizer. Ci sono poi i siti utilizzati per creare allarme attorno a una malattia o presunta tale, il cosiddetto «disease mongering». Weith dal sito australiano www.caltrate.com.au propone un test di un minuto per valutare il rischio di osteoporosi: è più comune di quanto non si creda. E propone pillole. Su Hives, equivalente olandese di Facebook, una campagna di «sensibilizzazione» è riuscita a raccogliere in tre settimane le firme di 80 mila utenti per una petizione a favore del controverso vaccino anti-Hpv, il papillomavirus. «Un’operazione commerciale efficace mascherata da informazione sanitaria», l’ha definita Ruud van Brakel, direttore dell’Istituto olandese per un uso appropriato della medicina. Anche Wikipedia, la più consultata enciclopedia online, che chiunque può correggere, non è esente da rischi. «Dove c’è mercato bisogna vigilare», avverte l’epidemiologo Tom Jefferson: suo il sito dal nome eloquente www.attentiallebufale.it, che proprio su Wikipedia ha smascherato la voce taroccata su un certo inibitore, definito «più efficace» degli altri. Se le pagine vengono modificate da siti riconducibili a case farmaceutiche, l’«intervento» è verificabile con Wikiscanner, uno Sherlock Holmes virtuale con cui si può risalire agli autori dei contributi all’enciclopedia. Un paio di anni fa con Wikiscanner si è scoperto che a produrre una serie di cambiamenti alla voce Seroquel, un antipsicotico, era stata una persona riconducibile ad Astra Zeneca che lo produce. Nella versione online, dopo le modifiche apportate, mancavano i dati sugli effetti collaterali: come il rischio nei teenager che lo prendono di compiere atti autolesivi o suicidio (http://experimentalchimp.wordpress.com/2007/08/ 15/wikipedia-astrazeneca-and-seroquel/). Se per i siti Web tradizionali esiste un codice di condotta, l’HONcode (Health on the net code of conduct), che controlla quelli con informazioni mediche affinché siano rispettati una serie di principi (http://www.hon.ch/ HONcode/Italian), per blog e social network, invece, non c’è nulla di analogo. Negli Usa la Food&Drug Administration, che finora si era affidata alle regole governative per la carta stampata, ha deciso di agire e ha nominato un direttore per le comunicazioni online che si appresta a produrre una serie di linee guida. «Se le aziende farmaceutiche si impadroniscono delle strategie di “Web marketing” - conclude Santoro - lo stesso non si può dire del popolo della Rete, che deve attrezzarsi per sfruttare gli strumenti del Web 2.0, senza cadere in qualche tranello».