Paolo Di Stefano, Corriere della Sera 29/12/2010, 29 dicembre 2010
VOCI DA SCOPRIRE, PURCHE’ NON IMITIINO I GIOVANI - È
arrivato il momento dei Gesualdi Bufalini. I professori di provincia in pensione, purché pazientemente rimasti nell’ombra per anni, avranno la loro chance nel 2011. La parola «esordiente» non verrà più accompagnata, necessariamente, dall’aggettivo che, per l’editoria, sembrava il più magico di tutti: «giovane» . Vecchio, anziano, di mezza età, morente, malaticcio o in ottima forma, fa lo stesso: quel che conta è che non si sia mai affacciato prima sulla scena letteraria. Per timidezza, per incapacità (propria) o per miopia (degli altri), poco importa. In fondo, nella categoria degli incompresi-fino a una-certa-età, non c’è solo l’autore della Diceria dell’untore che il genio di Elvira Sellerio, per una scommessa, riuscì a tirar fuori sessantenne dalla sua Comiso nell’ 81. Leggendo la sua prefazione a un libro fotografico, donna Elvira lanciò la sfida: «Scommettiamo che ha un romanzo nel cassetto?» . La telefonata non si fece attendere e l’anziano professore rispose: «Non ho un romanzo, ne ho due» . C’è una ampia gamma di scrittori emersi dal nulla in età rispettabile se non proprio veneranda. Lo stesso Camilleri aspettò i suoi 53 anni prima di consegnare a un editore (a pagamento) il suo primo romanzo, Il corso delle cose. Ma solo un quindicennio dopo ebbe il successo che meritava. Senza dimenticare che Gadda pubblicò le sue opere dopo i quaranta per imporsi al pubblico quasi settantenne, il caso più clamoroso degli ultimi tempi è quello del triestino-sloveno Boris Pahor, che nel 2008, grazie a Fazi, ebbe l’onore dei premi (e delle classifiche) a 95 anni suonati con Necropoli, la sua splendida autobiografia. Sempre meglio dei postumi, cioè degli autori che non hanno mai visto il proprio successo, da Guido Morselli, puntualmente rifiutato in vita e accolto post mortem dalla Adelphi, a Tomasi di Lampedusa, «stregato» nel 1958, già defunto esattamente da un anno. Ma, insomma, se il «giovane esordiente» (e più spesso il dilettante allo sbaraglio) c’è sempre stato e sempre ci sarà, e se la «grande riscoperta» è all’ordine del giorno o quasi (chi non ricorda la Ortese ottantenne in classifica per settimane con Il cardillo addolorato?), il «vecchio esordiente» è stato finora un frutto insolito del caso (che in editoria è, fino a prova contraria, la variabile più ricorrente). Ma promosso come etichetta merceologica con qualche speranza di appeal è una novità assoluta. Un inedito a tutti gli effetti. Che promette, perché no?, qualche sorpresa. Purché non si tratti del solito anziano in vena di imitare i giovani come se ne vedono tanti per strada.
Paolo Di Stefano