Sandro Cappelletto, La Stampa 29/12/2010, 29 dicembre 2010
«Radetzky o Rota? No, Beethoven» - Quale scegliere, per il Concerto di Capodanno, tra la Marcia di Radetzky di Strauss o la marcetta di Nino Rotta per 8 ½ di Fellini? Non saprei, qui il 1˚ gennaio dirigerò Fidelio
«Radetzky o Rota? No, Beethoven» - Quale scegliere, per il Concerto di Capodanno, tra la Marcia di Radetzky di Strauss o la marcetta di Nino Rotta per 8 ½ di Fellini? Non saprei, qui il 1˚ gennaio dirigerò Fidelio . E in Germania la tradizione di questi giorni è quella di suonare la Nona Sinfonia: comunque Beethoven. Difficile non essere d’accordo». Cinquant’anni nel 2011, milanese, stabile con l’Orchestre National de France e con l’Opera di Zurigo, Daniele Gatti si è concesso un giorno di sci a Garmisch, tra una recita e l’altra del capolavoro di Beethoven che lo occupa a Monaco. Ma non si sottrae a una questione cui dimostra di appassionarsi. «Sono e mi sento italiano, legato alla nostra storia e, da milanese, al processo che ha portò la Lombardia a liberarsi dalla dominazione austriaca per aderire alla nuova Nazione. Ma la musica di Johann Strauss è così bella, e i Wiener la suonano in modo così splendido, che mi riesce difficile far prevalere, nel mio giudizio, il ruolo che ha avuto il maresciallo Radetzky nel soffocare i moti risorgimentali». E la marcia di Rota per quel film di Fellini del ‘63 non le sembra profetica, nel rappresentarci come delle marionette smarrite che girano a vuoto? «Euforia e malinconia, nostalgia e ironia: nella musica di Rota c’è questa convivenza di sensazioni. È vero, spesso gli artisti hanno la capacità di anticipare il futuro. Pensiamo alla musica di Mahler che, un secolo dopo la sua morte, il pubblico oggi apprezza moltissimo. Da parte del pubblico è sempre forte il bisogno di dare un significato alla musica che si ascolta. Grazie alle note, la nostra fantasia diventa più libera, la nostra sensibilità si sente più stimolata: siamo noi che affidiamo alla musica il compito di esprimere i nostri più grandi turbamenti». Anche Gianandrea Noseda, da New York dov’è impegnato in Traviata al Met per il gala del 31 dicembre, sostiene che il valore musicale di un’opera finisce per prevalere sulle contingenze storiche: «Chi ascolta oggi l’ Eroica non ricorda gli entusiasmi e la delusione, di Beethoven per Napoleone». È d’accordo? «Completamente. Pensiamo a Wagner: la bellezza della sua musica è più forte di ogni critica determinata dalla lettura che ne fece il nazismo o dalle sue affermazioni antisemite. Il discorso è ampio: ci sono degli autori che appartengono al Dna della memoria e degli strati più profondi della cultura di un’orchestra, di un coro e anche di un popolo, che sente vibrare attraverso quella musica delle risonanze segrete, magari inconsce, ma subito percepibili». Per questo, in occasione del suo concerto di Natale alla Scala, ha messo in programma solo Verdi? «Ho immaginato il concerto come un dono della famiglia della Scala, della sua orchestra e del suo coro, a Milano. Sinfonie e cori: musica pura, senza le scene, i costumi, la regia di un’opera. La musica di Verdi mi sembrava perfetta per esprimere questa intenzione. Occasioni come i concerti di Natale, di San Silvestro, di Capodanno, sono delle opportunità per riproporre un patrimonio musicale che esprime le nostre tradizioni. Il mio augurio è che queste iniziative possano diventare, almeno per noi, una risposta al concerto di Vienna». Per finire, è di ieri la notizia che il blog «La voce del loggione» vuol lanciare una petizione perché Gatti venga nominato direttore musicale della Scala. Il maestro non vuole commentare la notizia. Che, però, sembra giungergli gradita.