Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  dicembre 29 Mercoledì calendario

PAESI SCANDINAVI PRIMATISTI DEI MERCATI

Ancora 48 ore e calerà il sipario sull’anno di Borsa. Un colpo qua, un colpo là: piccoli ritocchi al portafoglio secondo quello che gli addetti ai lavori chiamano «window dressing». Si acquistano le azioni che hanno avuto rendimenti elevati nel corso dell’anno, le si mette in vetrina nei fondi di investimento, e si vendono le peggiori in modo da far capire che si è stati bravi gestori nel corso dell’anno. A volte il gioco è a somma zero: si vende e si compra in egual misura senza che sugli indici resti traccia. Più spesso ci scappa anche un rialzo dei listini, il classico rally degli ultimi giorni dell’anno che poi altrettanto di frequente si esaurisce nei primi dieci giorni di gennaio.

Stavolta i giochi sembrano essere già fatti. Ieri per esempio gli investitori hanno reagito con un’alzata di spalle ai dati deludenti sull’immobiliare e sulla fiducia dei consumatori Usa e sono rimasti inchiodati alla parità, tanto in Europa che a New York. Anche fra gli indici settoriali non si sono viste differenze tali da far pensare a spostamenti di denaro da un comparto all’altro. Può darsi che gli appuntamenti dei prossimi tre giorni (Londra e Wall Street resteranno aperte anche a San Silvestro, a differenza delle altre piazze europee) con i dati sul mercato del lavoro americano o la fiducia delle imprese possano dare ulteriori scosse, ma l’impressione è che niente possa mutare in modo rilevante la classifica dei listini, che appare ben delineata.

Il rally è dietro le spalle

In fondo, la rincorsa dei listini in vista della chiusura dell’anno solare c’è già stata. Difficile infatti spiegare i consistenti rialzi messi a segno dai principali listini a dicembre (compresi fra il +4,2% di Francoforte e il +8,7% di Londra). C’è stato, è vero, un allentamento nelle tensioni sui debiti dell’Eurozona grazie al via libera al piano di salvataggio per l’Irlanda e ai riacquisti dei bond della Banca centrale europea. E si è fatto di sicuro sentire anche l’effetto della liquidità immessa sui mercati dalla Federal Reserve con le prime operazioni legate al quantitative easing 2, il piano di stimolo da 600 miliardi di dollari varato a novembre.

Resta il fatto che gli investitori hanno deciso di utilizzare questo fiume di denaro per riacquistare attività rischiose: commodity (il petrolio, le materie prime industriali e quelle agricole viaggiano su massimi pluriennali) e appunto azioni. Così hanno dato più consistenza alle performance di certi indici di Borsa, che ormai sono tornati sui livelli antecedenti al crack Lehman, e alleviato le pene di altri. E anche questa, a suo modo, la si può considerare una mossa per abbellire i bilanci di fine anno.

L’inondazione di liquidità

Denaro facile e rischi sui debiti sovrani sono stati del resto il motivo ricorrente del 2010: il mix dei due fattori ha determinato le frenate e le ripartenze delle Borse negli ultimi 12 mesi e ha soprattutto contribuito a stabilire le distanze fra chi ha corso di gran carriera e chi invece ha dovuto arrancare nelle retrovie. A cominciare proprio da Wall Street, dove le banche hanno utilizzato il denaro ricevuto quasi ogni giorno dalla Fed attraverso i riacquisti di bond non per concedere crediti alle aziende o mutui alle famiglie, ma per comprare le Apple (+54% il titolo da inizio anno) o le Caterpillar (+64%) di turno.

È soprattutto grazie a quest’inondazione che l’S&P 500 chiuderà l’anno, salvo improbabili colpi di scena, ai massimi da oltre due anni con un progresso attorno al 13%, il Nasdaq salirà del 17% e il Russell 2000 delle aziende di piccola e media dimensione del 25%. Ed è anche grazie alla munificenza di Ben Bernanke – il presidente della banca centrale Usa che i detrattori amano raffigurare alla guida di un elicottero mentre getta dollari al pubblico – che hanno prosperato gran parte delle Borse emergenti, da Mosca a Shanghai passando attraverso Mumbai: il denaro facile è andato a finire là dove la crescita economica è reale, non fittizia o drogata da politiche monetarie e fiscali ultraespansive. Se tutto ciò finirà in una gigantesca bolla lo si saprà fra qualche anno, per adesso ogni mezzo è lecito per evitare mostri che si chiamano deflazione o stagnazione economia.

Lontani dall’Eurozona

Nel Vecchio Continente si è invece assistito a un altro fenomeno: le tensioni sui debiti sovrani, innescate dalle crisi di Grecia e Irlanda (e a cascata dai tentennamenti di Portogallo e Spagna) si sono abbattute non soltanto sull’euro e sui titoli di stato periferici, ma anche indirettamente sulle Borse. Basta guardare il bilancio a scaletta di Francoforte (+17%), Parigi (-2%), Milano (-12%), Madrid (-17%) e Atene (-36%) per capire come l’allargamento degli spread (ossia del differenziale di rendimento dei bond dei singoli paesi rispetto al bund tedesco) si sia trasferito sulle azioni in modo pressoché automatico.

In parte questo è successo perché nei listini rimasti indietro è più forte la presenza dei titoli finanziari largamente penalizzati dal rischio debito, in parte perché anche a parità di qualità nelle aziende quotate si è preferito evitare guai e andare sul sicuro, cioè a Francoforte. Restare ai margini dell’Eurozona (Germania esclusa) e dei suoi patemi è stato l’imperativo dei grandi operatori, prova ne sia che quando si esce di poco dai confini il sole ricomincia a splendere. Non a caso Londra è salita da inizio anno dell’11% e meglio ancora è andata alle piazze scandinave: Oslo ha guadagnato il 18%, Stoccolma il 22% e Copenhagen addirittura il 37 per cento.

Per evitare che lo schema si ripeta nel 2011 è necessario prima di tutto un chiarimento definitivo sulla questione euro e debito pubblico. In quel caso Piazza Affari avrà tutte le carte in regola per rimontare posizioni sulle concorrenti, come già è avvenuto a dicembre. Altrimenti occorrerà prepararsi a un altro anno di vacche magre.