Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  dicembre 27 Lunedì calendario

Legittimo impedimento, Consulta verso il sì - Nemmeno i termini tecnico-giuridici, stavolta, riescono ad attutire la portata della notizia

Legittimo impedimento, Consulta verso il sì - Nemmeno i termini tecnico-giuridici, stavolta, riescono ad attutire la portata della notizia. Che è la seguente: con «sentenza interpretativa di rigetto», la Corte Costituzionale si accingerebbe a respingere il ricorso proposto dal pm milanese De Pasquale circa la costituzionalità della legge sul legittimo impedimento. Questa, almeno, è la soluzione che il giudice relatore del caso (Sabino Cassese) proporrà agli altri membri della Corte, che torneranno a riunirsi per la sentenza l’11 o il 12 gennaio. La relazione istruttoria di Cassese dovrebbe essere già da qualche giorno a disposizione di tutti i membri della Corte, che la studieranno e ne discuteranno prima di dar via libera ad un verdetto dal cui tenore - secondo molti - dipenderebbero addirittura le sorti della legislatura. Ma che vuol dire «sentenza interpretativa di rigetto»? E qual è - nella sostanza - il parere che la Corte Costituzionale starebbe maturando sul legittimo impedimento? Proviamo a spiegare nella maniera più semplice possibile l’orientamento maturato dal relatore e, quindi, quel che la sentenza di gennaio dovrebbe affermare. Nella sostanza, il sottile confine che fa del legittimo impedimento una norma costituzionale oppure incostituzionale, sta tutto in una parola-chiave: automatismo. Secondo il relatore, infatti, se si ritenesse (interpretasse) che l’essere ministro o presidente del Consiglio costituisse di per sé un legittimo impedimento a rispondere alla convocazione in tribunale da parte dei giudici, questo equiparerebbe di fatto lo «scudo» ad una vera e propria (e automatica) «immunità» che, in quanto tale, andrebbe disciplinata con legge costituzionale. Se, al contrario, la valutazione del legittimo impedimento invocato dall’imputato (in questo caso si parla di Berlusconi) venisse di volta in volta affidata al giudice di competenza, allora nulla osterebbe a che la materia fosse regolata (come è nel caso, appunto, del legittimo impedimento) con legge ordinaria. Ed è precisamente così, secondo la «sentenza interpretativa» che la Corte si accingerebbe ad emettere, che la legge andrebbe dunque intesa e, quindi, applicata. L’orientamento del relatore - se confermato dal «plenum» della Corte - potrebbe sembrare il solito bizantinismo giuridico o, peggio ancora, somigliare ad una decisione pilatesca, che rigetta la patata bollente nel campo in cui litigano da anni Silvio Berlusconi e i magistrati che provano a processarlo. In realtà, è possibile anche un’altra interpretazione: e cioè che si tratti del tentativo da parte dei giudici della Corte di tenere assieme diritti e doveri fondamentali e costituzionalmente garantiti. In sostanza: da una parte salvaguardare il principio secondo il quale tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge, e dall’altra il diritto-dovere dei membri dell’esecutivo a governare e ad assolvere le loro funzioni senza impedimenti e turbative. In realtà, stante il fatto che il legittimo impedimento è regolato con legge ordinaria, è apparso fin da subito evidente che la sua applicazione avrebbe richiesto serietà di comportamento da parte dei soggetti in causa. Serietà o - meglio ancora - quello spirito di «leale collaborazione» tra autorità politica e giudiziaria invocato dal presidente Napolitano all’atto della firma della legge, nella primavera scorsa. Uno spirito di collaborazione che dovrebbe evitare che il premier o i suoi ministri invochino un legittimo impedimento in ragione di impegni irrilevanti e rinviabili; e che, contemporaneamente, porti il giudice a riconoscere serenamente il diritto a ricorrervi, nei casi seri e comprovati. Nulla a che vedere, insomma, con quanto accadde nel caso di Aldo Brancher che, nominato ministro, invocò subito il legittimo impedimento in quanto occupato a «organizzare il ministero»: e dovette intervenire il Quirinale per affermare che, visto che si trattava di un ministero senza portafoglio, Brancher non aveva un bel nulla da organizzare... Occorrerà attendere ancora un paio di settimane per vedere come finirà questa spinosissima questione e se la Corte farà propria in toto l’impostazione proposta dal relatore. Quel che invece è certo fin da ora, è che i giudici sono attesi da un lavoro tutt’altro che facile, sottoposti come sono da giorni agli attacchi preventivi del presidente del Consiglio e sul cui capo si vorrebbe addirittura far pendere la responsabilità di una crisi di governo o addirittura di elezioni anticipate nel caso di bocciatura del legittimo impedimento. In un Paese normale, l’interpretazione della legge che la Corte si accingerebbe a proporre e lo spirito di «leale collaborazione» invocato da Napolitano sarebbero del tutto inutili: perché scontati e dunque superflui. Ma sono anni che l’Italia appare quanto di più distante vi sia da un Paese normale. E non è detto, purtroppo, che l’avvio del 2011 - con tutto quel che rappresenta quest’anno celebrativo - faccia uscire il Paese da questa insopportabile anomalia, piuttosto che tenerlo prigioniero della guerriglia politico-giudiziaria che lo soffoca da ormai vent’anni... FEDERICO GEREMICCA *** Nonostante le sbandierate preoccupazioni del Premier, le decisioni della Consulta previste per l’11 gennaio del prossimo anno avranno un’incisività assai scarsa sull’andamento dei processi milanesi nei quali Silvio Berlusconi è imputato. Chi si aspettasse insomma una ripresa fulminea dei dibattimenti con approdi veloci a sentenza, rimarrebbe fortemente deluso. La nuova legge all’esame dei giudici supremi, figlia di quel «Lodo Alfano» già bocciato un anno fa, se pure venisse considerata incostituzionale, verrebbe facilmente sostituita con l’applicazione delle procedure ordinarie in vigore da sempre sul legittimo impedimento e che hanno finora consentito a Berlusconi il rinvio delle sue udienze e, se non il rinvio, la possibilità di non presentarsi in aula evitando la dichiarazione di contumacia. E del resto i magistrati si guarderanno bene dall’offrire una «via giudiziaria» alle elezioni che puntualmente si rivelerebbe un assist per la campagna elettorale per il Cavaliere. Eppure, la decisione dei giudici costituzionali, ammesso che venga presa proprio l’11 gennaio, qualunque essa sia (e non è detto che sia totalmente infausta per Berlusconi), avrà ovviamente un peso politico, ma più per la sconfitta o meno delle scelte legislative della maggioranza in tema di "leggi ad personam" che per l’arrivo sul banco degli imputati del Presidente del Consiglio. Da quando il 7 aprile scorso è entrata in vigore la controversa legge sul legittimo impedimento, sono tre i procedimenti spediti nel limbo delle decisioni costituzionali: oltre alla nota vicenda Mills (corruzione in atti giudiziari) e a quella dei diritti tivù Mediaset (frode fiscale), va aggiunto il processo Mediatrade, appena incardinato in udienza preliminare, considerato una costola di quello Mediaset e nel quale si ipotizza una frode milionaria attraverso fondi neri costituiti con la compravendita dei diritti cinematografici. Non tutti e tre i processi hanno ovviamente le stesse scadenze. Considerando che la legge sul legittimo impedimento ha finora sospeso anche i termini di prescrizione, il paradosso è che ognuno dei dibattimenti ha ancora una vita sufficiente per giungere a sentenze di primo, secondo e terzo grado. La corruzione di Mills, già forte di una sentenza definitiva nei confronti del legale inglese e considerata dunque la questione più spinosa, se ricominciasse dopo metà gennaio avrebbe ancora un anno di tempo per arrivare a una decisione di primo grado: ma va considerato che i legali si opporranno all’acquisizione degli atti dal primo processo e tra rinvii e nuova istruttoria difficilmente si potrebbe giungere a una conclusione. Molto più ampio invece lo spazio di manovra negli altri due processi, considerato per esempio che per Mediatrade le ultime contestazioni partono dal dicembre 2009. In ognuno di questi processi sono stati i giudici giudicanti a sollevare delle eccezioni di costituzionalità sulla legge trovandola confliggente con due articoli della Costituzione: l’articolo 3 (uguaglianza dei cittadini) e articolo 138 (la necessità di una legge di rango costituzionale così come già raccomandato dalla Consulta per il Lodo Alfano). Per i giudici infatti la legge del 7 aprile scorso, «stabilisce a priori e in modo vincolante che la titolarità e l’esercizio di funzioni pubbliche costituiscono sempre legittimo impedimento per rilevanti periodi di tempo prescindendo qualsiasi valutazione del caso concreto». Di più: per il gip Marina Zelante, la nuova legge sottrae al giudice le prerogative di controllo costituzionalmente previste per valutare la legittimità dell’impedimento, prefigurando quindi un conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato. C’è poi da considerare che questa era stata varata come legge «a tempo», ovvero con una scadenza precisa fissata all’ottobre 2011, entro i quali il Parlamento avrebbe dovuto varare una legge costituzionale. Cosa che francamente sembra allo stato impossibile da realizzare. Ed è questa la vera spina nel fianco del Cavaliere: se anche la Consulta trovasse un modo per non abrogare completamente la norma, Berlusconi non avrebbe i numeri e forse nemmeno il tempo per organizzare una legge costituzionale. E la cancellazione della norma lo costringerebbe a rispedire in aula i suoi legali, Ghedini e Longo, per dar via alla solita guerra guerreggiata dei ricorsi e delle eccezioni, con battaglie estenuanti e senza risultati sicuri. PAOLO COLONNELLO *** Mossa Pdl: copiamo il parere sullo scudo - Sul Legittimo impedimento la Consulta si prepara a dare torto alla magistratura di Milano, ma sostanzialmente dandole ragione? E’ questo l’esito che le indiscrezioni raccolte da «La Stampa» raccontano: una cosiddetta «sentenza interpretativa di rigetto» che manterrà in piedi la legge che sta facendo da scudo giudiziario al Cavaliere, ma intanto restituisce al magistrato il potere di dire «questo impedimento vale, questo no». Una tale salomonica sentenza in fondo an- una sentenza del genere è predrebbe bene a tutti (ancheal ventivata. «Una cosa sola ho giudice costituzionale Luigi imparato dall’esperienza- dice Mazzella, che ha inviato ai però lapidario Gaetano Quacolleghi un appunto per so- gliariello, vicepresidente dei stenere la costituzionalità senatoriPdl - e cioè che non si della legge) sia a chi in Parla- può fare nessuna previsione. mento l’ha voluta e potrà di- Quindi non commento». re che ha superato il vaglio Enrico Costa, capogruppo della Consulta, sia a chi nei Pdl in commissione Giustizia, tribunali l’ha subita e si riap- è stato il primo firmatario delpropria dei suoi poteri. la legge e il relatore. «In questa Andrà bene alla maggioranza, che il giorno dopo l’indiscrezione è già saltata alle conclusioni e prefigura una nuova legge sul Legittimo impedimento, ma di rango costituzionale. Già, perché questa sarà la soluzione che il Pdl ha in mente: usare la sentenza come traccia a cui ispirarsi e inserire nella carta costituzionale le nuove prerogative del premier. Stesso metodo adottato per il Lodo Alfano. Una sentenza del genere, però, andrà bene a Antonio Di Pietro, che potrà ancora esercitare il suo ruolo di soggetto referendario, avendo raccolto le firme per l’abrogazione della legge e con l’estate avrà il suo momento di gloria. «Sono curioso - dice Di Pietro - di sapere cosa succederà poi al referendum abrogativo, ma credo che anche con questa interpretazione della legge, si dà il via libera di fatto al referendum. E a quel punto sarà il popolo a decidere se sia giusto, opportuno e moralmente corretto che un capo del governo sia esente da responsabilità. Se la sentenza fosse questa, ne prenderei atto e basta». Ma Di Pietro teme comunque qualche brutto scherzo. «In un paese normale entro giugno il referendum lo farebbero con le amministrative per risparmiare i soldi, qui lo faranno apposta a ridosso delle ferie estive per cercar ridurre la possibilità che raggiunga il quorum: le solite furbate all’italiana». In ambito Pdl, comunque, così come aveva fatto capire il ministro Angelino Alfano, duplice veste - risponde - credo ancora che l’automatismo che noi avevamo previsto sia rispondente a criteri costituzionali. Se torniamo all’indietro, e ridiamo a uno dei poteri, quello giudiziario, la potestà di sindacare sul legittimo esercizio di un altro potere, quello esecutivo, allora torniamo appunto all’intersecarsi dei due poteri. Non dimentichiamoci che un pm è arrivato a sostenere che una riunione del Consiglio dei ministri non fosse legittimo impedimento per il presidente del Consiglio a partecipare a un’udienza». Il senatore Lucio Malan, Pdl, a sua volta ha seguito l’iter della legge in commissione Affari costituzionali. Dice: «Se eliminare l’automatismo servirà a evitare casi estremi, tipo il tizio con problemi giudiziari che diventa ministro e subito dopo ci viene a spiegare che non ha 5 minuti nell’arco di sei mesi per presenziare a un processo, allora sarà una sentenza condivisibile. Se invece comporterà un entrare nel merito da parte del magistrato, ciò significa che il Legittimo impedimento non sarebbe più tale ma una giustificazione qualsiasi». E commenta Donatella Ferranti, Pd: «Se queste anticipazioni fossero confermate, non saremmo davanti ad una drastica bocciatura ma ad un netto ridimensionamento del testo voluto dal governo. Noi restiamo contrari a queste norme che trasformano il Legittimo impedimento in un’immunità che, di rinvio in rinvio, diventa permanente». FRANCESCO GRIGNETTI *** “Ma l’ultima parola spetta al giudice” - Piero Alberto Capotosti è un presidente emerito della Corte costituzionale, avendo guidato la Consulta nel 2005. Non gli poteva sfuggire l’indiscrezione riportata ieri da «La Stampa» attorno agli orientamenti che stanno maturando sul Legittimo impedimento. Accetta di riflettere a voce alta, ma con una premessa: «Sul grado di attendibilità di questa indiscrezione non mi pronuncio ma ragiono in termini astratti». Benissimo, professore. Dando per scontato che andrà a finire proprio così, quali effetti potrebbero scaturire da una cosiddetta sentenza interpretativa di rigetto? «Si inserirebbe nell’ambito di quelle sentenze che comportano il rigetto della questione costituzionale». Fuor di gergo, si darebbe torto ai giudici di Milano. E’ così? «Diciamo che la disposizione sottoposta al giudizio della corte sarebbe riconosciuta non in contrasto con la Costituzione, a patto che si segua una certa interpretazione». Rigetto, ma con interpretazione. Possiamo spiegare di che cosa si tratta? «La pronunzia della Corte, per così dire “positiva”, sarebbe vincolata a una interpretazione del testo indicata anch’essa dalla Corte. E nel caso in specie la Corte verrebbe a dichiarare che la norma non sarebbe incostituzionale in quanto il testo della legge potrebbe consentire, a determinate condizioni, la possibilità per il giudice di merito di valutare se l’impedimento sollevato dal presidente del Consiglio o dal ministro abbia nel caso di specie carattere assoluto o meno». In pratica, la legge resterebbe in piedi, ma restituendo ai magistrati un potere che oggi non hanno più. Ovvero non sarebbe più automatico per il presidente del Consiglio, previa autocertificazione di palazzo Chigi, far sospendere per sei mesi le udienze di un processo che lo riguardano. «Appunto. Spetterebbe al giudice di merito valutare se il presidente del Consiglio oppure se un ministro abbia un impedimento di carattere assoluto, tale da non consentirgli di essere presente al processo. Il giudice potrebbe valutare discrezionalmente quanto il tipo di impedimento possa impedire la partecipazione al dibattimento oppure no». E questa, presidente Capotosti, sarebbe la potestà «interpretativa» della Consulta. «Un sentiero molto stretto, comunque, perché la Corte non può discostarsi dal testo della legge. La sua interpretazione, in senso restrittivo o estensivo, resta indissolubilmente legata alle finalità, al contesto, e ad alle parole usate dal legislatore. La Corte in questo caso compie un’analisi del testo stesso ispirandosi soprattutto ai valori costituzionali che lo debbono ispirare, cioè a trovare un giusto contemperamento tra le esigenze della giurisdizione e le esigenze del potere politico. Nel caso del Legittimo impedimento, dunque, l’interpretazione ruoterebbe tutta attorno a unverbo, laddove è scritto che “il giudice sospende il procedimento in corso”. Oggi, significa che lo deve fare automaticamente. Domani potrebbe essere letto come un “può sospendere il processo” in presenza di determinate circostanze apprezzate dal giudice stesso». [FRA. GRI.]