Marco Neirotti, La Stampa 24/12/2010, 24 dicembre 2010
UN MILIONE DAI MONOPOLI PER LA MORTE DELL’UOMO CHE ASSAGGIAVA TABACCO
Nuoce gravemente alla salute, uccide. E’ scritto su ogni pacchetto di sigarette. Prima è disagio fisico, poi enfisema, alla fine tumore al polmone. Nel 2001 muore così Glauco Mancini, classe 1931, «assaggiatore di tabacchi», dipendente con stipendio dei Monopoli di Stato dal 1954, quando aveva 23 anni. La consapevolezza del danno da fumo ha dettato la sentenza del Tribunale di Roma che condanna il Ministero dell’Economia e Finanze, Amministrazione dei Monopoli, a risarcimenti che arrivano al milione di euro.
Mancini giovanotto è assunto e destinato, nel ‘54, alla «saletta esportazione». Negli atti si descrive un luogo «estremamente umido e freddo, con finestre aperte con ogni clima per far entrar la luce». Poi ci sono le trasferte nei magazzini e il giovane, per mestiere e forse con piacer suo, assaggia sigarette, sigari e tabacco da pipa. Nel ‘78 si ritrova una «bronchite cronica enfisematosa ed artrosi», ma prosegue il lavoro» e nell’84 Pertini gli conferisce l’onorificenza di Cavaliere.
Il Cavaliere Mancini continua a fumare «in ufficio» fino al 1997, quando va in pensione. Nel 2000 gli è diagnosticato un tumore al polmone che se lo porta via in un anno. La famiglia cita in giudizio il Monopolio e ottiene il riconoscimento di «morte per causa di servizio». E su questo punto si apre la battaglia tra famiglia e Monopoli. Causa di servizio vuol dire consapevolezza del datore di lavoro dei rischi cui va esponendosi il dipendente? Parte il ricorso dell’avvocato Romolo Reboa con il collega Simone Trivelli, che puntano - per l’accertata «causa di servizio» e la consapevolezza del datore di lavoro - a condanna civile e risarcimento per «omicidio colposo». Quello che ha confermato il giudice Flavio Baroschi.
L’avvocato Reboa commenta il coraggio del giudice nel dare un valore congruo alla vita umana e affermare che la tutela della salute del lavoratore deve essere una priorità in una Nazione che vuole dirsi civile». Ma, fuori aula, il commento investe altri aspetti sociali: «Emerge che gli Stati lucrano sul fumo e commerciano il tabacco in concorrenza con le multinazionali, poi si lavano la coscienza facendo scrivere sui pacchetti che fumare fa male». La conclusione è raffinata disfida. Accusa: è vero che il dipendente è consapevole, ma tu datore di lavoro sai e fai scrivere che fa male, però paghi uno, seppur cosciente, per far professione di ciò che «nuoce gravemente alla salute», «uccide». I legali del Monopolio proprio sulla coscienza di Mancini impostano la difesa: «In quanto fumatore, la partecipazione alla Commissione per l’esame merceologico presupponeva il consenso dell’interessato. Se avesse richiesto avrebbe potuto non svolgere quella mansione». E poi - a parte mettere in dubbio il nesso professione-danno - si afferma che «è difficile asserire che un qualsiasi fumatore abbia fatto uso di sigarette senza essere sufficientemente consapevole e senza avvertire direttamente la dannosità del fumo». Il che, su queste basi, potrebbe candidare l’Avvocatura dello Stato a difensore del suicidio assistito.
L’avvocato Reboa considera la sentenza, più che una vittoria economica, una vittoria di principio sulle distorsioni di un sistema economico. L’Avvocatura dello Stato insiste sì sulla vittima consenziente ma ribadisce che il danno da fumo è ormai noto a tutti. Diventa difficile, allora, dopo questa condanna, spiegare la liceità del produrre, vendere, commerciare incassando colossali proventi una merce dichiarata dannosa dal distributore stesso. Il problema lo riapre una causa vinta per un fumatore abituale pagato dallo Stato «per «provare una merce dannosa alla salute», una merce venduta legalmente, che rende miliardi di euro e porta scritto: «Uccide». O, come nel caso di Mancini, dilatando i tempi: «Provoca cancro mortale ai polmoni».