Alberto Berticelli, Corriere della Sera 28/12/2010, 28 dicembre 2010
L’UOMO CHE GUIDA GLI INFILTRATI: «IL RISCHIO DI ANDARE OLTRE C’E’» —
Primo: non è un carabiniere ma è un poliziotto. E quando si parla di argomenti «scottanti» fa la differenza. «Questione di mentalità» , dice. Secondo: non è un infiltrato operativo ma è un funzionario che, per anni, ha coordinato gli infiltrati della polizia. Ne conosce i punti di forza ma anche le debolezze. Terzo: ha idee chiare su come si devono comportare i suoi uomini. «Non transigo, chi fa cose strane è fuori» . Quarto, last but non least, come dicono gli americani, del caso Ganzer non vuole parlare. «Se la vedrà con la sua coscienza, con i vertici dell’Arma e con i giudici» . Il punto di partenza sta nell’opposto nella famosa frase di Nicolò Macchiavelli. Da leggere cosi: «Il fine non giustifica i mezzi» . La quarantina passata da un pezzo, una lunga esperienza investigativa, l’ex capo degli infiltrati vuole essere subito chiaro: «Se ti fai prendere la mano è finita. Si fa presto a violare la legge. La prima regola è questa: noi non possiamo fare gli agenti provocatori, come fanno per esempio quelli della Dea americana (Drug enforcement administration), l’ente preposto alla lotta al narcotraffico mondiale. Noi possiamo solo interrompere un’attività illecita in corso. Cioè, per essere ancora più chiari, possiamo intervenire, sotto copertura, quando ci sono già degli elementi di reato sui quali lavorare» . Sa perfettamente che film e libri sugli agenti sotto copertura hanno creato un alone di mistero e di curiosità su personaggi che hanno nome in codice, rischiano la vita, sono a contatto con i boss più pericolosi del cartello di Medellin e che quando tornano alla vita normale spesso hanno problemi di reinserimento e hanno bisogno dello psicologo. «Per esempio potrei sfatare il fatto che si usino nomi in codice come "Falco", "Iscariota"o altro ancora. Magari si chiamano così tra colleghi. Ma poi l’infiltrato deve usare nomi reali come quelli del vicino di casa e anche noi dobbiamo chiamarlo così» . I pazzi ci sono sempre e bisogna tenerli alla larga: «Come uno strano trafficante colombiano che ci ha offerto di far arrivare in un porto italiano mille chili di cocaina. Lui l’ha offerto a noi senza che ci fosse un’indagine in corso e quindi abbiamo dovuto stopparlo» . «Una volta, da alcune intercettazioni, sapevamo che un gruppo di peruviani voleva importare droga. Abbiamo simulato un incidente e un nostro agente ha dato un biglietto da visita con nome e indirizzo di una società di import-export che avevamo creato per cercare di agganciarli. Ci è andata male» . Gli agenti provocatori ci sono: «Certo, li usano quelli della Dea e il Custom inglese. Provocatori nel vero senso della parola. Con conseguenze spesso inimmaginabili» .
Alberto Berticelli