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 2010  dicembre 28 Martedì calendario

IL GENERALE CONDANNATO: «SCANDALOSO ACCORDO CON I NARCOTRAFFICANTI» — A

leggere le 1.155 pagine depositate ieri dai giudici per motivare la condanna di primo grado a 14 anni di carcere per traffico di droga del generale Giampaolo Ganzer, c’è un Faust a comandare il Ros dei carabinieri: uno «scienziato» (nell’opera di Goethe, ma in fondo lo è anche un investigatore) insoddisfatto dei limiti (qui impostigli dalle norme sulle indagini antidroga), che vende l’anima al diavolo in cambio di conoscenza e potere. Oppure, se all’epica letteraria si preferisce quella sportiva, c’è un Pantani in vetta a una delle carriere più scintillanti dell’Arma: un ufficiale che, benché nel 1994 avesse «già risultati brillanti» e fosse lanciato a «occupare posizioni sempre più elevate» , quando arriva all’Antidroga pratica il doping delle prime operazioni «contrarie alla legge» (Cobra, Shipping e Cedro Uno) «per assicurare risultati d’immagine straordinari a se stesso e al suo reparto» , e poi «in parallelo avvia nel rispetto della normativa altre operazioni antidroga (Pilota, Cartagine, Zama, Sinai) con le quali raggiunge risultati altrettanto clamorosi» . Scandaloso accordo Generale dell’antidroga, Ganzer, ma «in scandaloso accordo con i trafficanti ai quali è stato consentito vendere la loro droga in Italia e arricchirsi con i proventi delle vendite con la protezione dei carabinieri del Raggruppamento operativo Il documento Il dispositivo della sentenza che ha condannato Ganzer speciale» . Narcos ai quali «sono stati fatti ottenere i necessari visti, evitando il prescritto controllo della Direzione centrale antidroga; è stato permesso di importare in tutta sicurezza qualsiasi partita di droga in forza di decreti di ritardato sequestro» (concentrati sul pm bergamasco Mario Conte ora sotto processo) «che espressamente ordinavano ai funzionari della Dogana di astenersi da qualsiasi controllo; gli sono stati indicati gli acquirenti; è stato fornito ogni genere di assistenza in Italia, pagando loro l’albergo, scortandoli negli spostamenti, fornendoli di cellulari sicuri» . Troppo «speciale» Guardie e ladri «in combutta» con l’ «unico scopo di realizzare clamorosi arresti e sequestri di droga» , cioè la benzina mediatica che ai primi tempi di gestione Ganzer dello speciale reparto dei carabinieri serviva ad accreditare la «legittima aspirazione ad ottenere speciali risultati nella lotta al crimine» . Anche a costo che «l’appartenenza ad un corpo speciale facesse credere di potere agire con metodo di lavoro speciale» . Un «metodo» doppiamente «inaccettabile» : nella forma perché «gli arrestati sono stati indotti a commettere il reato da quelle che dovrebbero essere ed agire come forze dell’ordine e impedire che si commettano reati» , e nella sostanza «perché il traffico di droga non solo non è stato combattuto, ma addirittura incoraggiato e favorito» . «Prove» , non responsabilità oggettiva A Ganzer i giudici Luigi Caiazzo, Chiara Nobili e Paola Pendino non imputano generiche responsabilità oggettive per veniali sbavature in difficili e pericolose operazioni sotto copertura, ma specifici indicatori di consapevolezza e partecipazione alla creazione all’estero di importazioni di droga organizzate apposta per essere poi scoperte e stroncate da spettacolari blitz. È Ganzer «l’unico referente» per il maresciallo Lovato, «organizzatore delle operazioni sul campo» , che «a lui continuamente si rapportava e comunicava tutti gli sviluppi» . Lo confermano «le annotazioni dell’agenda del maresciallo Arpa» . Inoltre Ganzer «interviene in maniera essenziale» nell’ «organizzazione della missione a Curaçao, nella quale i carabinieri Lovato, Arpa e Benigni, con l’immancabile libanese Jean Bou Chaaya —(in teoria l’ «informatore» del Ros, in realtà un narcos lasciato libero di trafficare, ora condannato a 18 anni ma latitante) — gettano le basi con i trafficanti per l’installazione di una raffineria» . E quando «la Guardia di finanza scopre casualmente che i militari del Ros stavano ricevendo per conto di Bou Chaaya oltre 30 chili di cocaina al di fuori di una qualsiasi operazione controllata dall’autorità giudiziaria» , Ganzer «li aiuta avvertendoli di quali elementi fossero in possesso della Gdf e predisponendo con loro una versione che coprisse la gravissima realtà dei fatti» . Un trafficante per amico Nel tenere i rapporti con la Direzione centrale antidroga, come sottolineato dal pm Luisa Zanetti, Ganzer «ha coperto e difeso in ogni modo possibile l’operato di Bou Chaaya» , per il quale «richiede con notevole insistenza una straordinaria ricompensa» anche dopo che Bou Chaaya è fermato a Cipro «con un miliardo di lire» insieme a un altro narcos, a riprova di un «comune accordo dei due nei traffici di droga compiuti in Italia» : un interessamento, quello di Ganzer per Bou Chaaya, «evidentemente nel timore che lo stesso potesse svelare gli accordi tra il Ros e i trafficanti sui quali era stata basata tutta la Cedro Uno» . Per i giudici, poi, «appena viene a conoscenza dell’indagine» aperta dal pm bresciano Fabio Salamone «sull’operato del Ros in alcune operazioni alle quali aveva partecipato Biagio Rotondo (collaboratore di giustizia uccisosi in carcere, ndr), Ganzer intuisce facilmente, come in effetti avverrà, che la collaborazione di Rotondo avrebbe fatto conoscere il metodo di lavoro che si stava utilizzando anche nell’operazione Cedro Uno, e decide di chiuderla immediatamente: e, nonostante sia contrario ad ogni logica (se fosse stato in buona fede) non aspettare il ritorno in Italia del principale responsabile, decide l’irruzione nella raffi- neria di Rosciano nel momento in cui erano presenti solo i 4 manovali molto marginali» . La sentenza valorizza le «ammissioni» dello stesso Ganzer sulla Cedro Uno «nell’interrogatorio al pm il 23 luglio 2003» , che il generale ha però poi corretto affermando che all’epoca non aveva ancora ben ricostruito i fatti. «Traditore per smisurata ambizione» Su questi fatti il Tribunale, per spiegare il no alle attenuanti generiche, innesta l’unico giudizio sulla personalità di Ganzer, definita «preoccupante» perché «capace di commettere anche gravissimi reati per raggiungere gli obiettivi ai quali è spinto dalla sua smisurata ambizione» . Ganzer «per interesse personale ha tradito tutti i suoi doveri, e fra gli altri quello di rispettare e fare rispettare le leggi dello Stato, contrastare la delinquenza e non favorirla, garantire il corretto funzionamento delle istituzioni nelle quali i cittadini devono poter riporre la propria fiducia» . Lo scaricabarile del comandante Ma a Ganzer, al quale l’Arma aveva confermato la fiducia anche nei giorni in cui sembrava all’ordine del giorno la questione delle dimissioni o della sua sospensione dall’importante incarico operativo che tutt’oggi riveste, è immaginabile brucerà ancor di più lo scaricabarile che il Tribunale gli attribuisce sui sottoposti: «L’imputato ha evitato, per quanto gli è stato possibile, di esporsi, facendo figurare altri come responsabili di iniziative che invece erano sue» , scaricando la colpa su «persone che neppure ha ritenuto di dover in qualche modo difendere. Si è trincerato sempre dietro la non conoscenza e la mancata (e sleale) informazione da parte dei suoi sottoposti di come si erano svolti effettivamente i fatti» ; e, «pur di tentare di sfuggire alle gravissime responsabilità della sua condotta, ha preferito vestire i panni di un distratto burocrate che firmava gli atti che gli venivano sottoposti» . Ganzer ha diretto l’operazione «cercando di stare nell’ombra, salvo però assumere la paternità dell’operazione quando conveniva alla sua immagine, come nella conferenza stampa indetta subito dopo l’irruzione dei carabinieri del Ros nella raffineria di Rosciano» . Vigna teste «raggirato» Molte, per il Tribunale, le vittime collaterali del metodo Ganzer: dal «troppo scrupoloso» colonnello Cataldi, per i giudici tenuto all’oscuro dai suoi militari che in realtà continuavano a far capo a Ganzer, fino ai pm dell’Aquila, tagliati fuori da una delicata vicenda. E l’ex procuratore capo fiorentino Pier Luigi Vigna, che da teste della difesa in aula «ha tenuto a dire al Tribunale che con il sequestro dei quantitativi di droga eseguiti dal Ros si erano salvate molte vite umane. Non poteva certo sapere l’illustre magistrato — scrive il Tribunale — che la droga era stata introdotta in Italia dagli stessi militari che l’avevano sequestrata istigando altri ad acquistarla» .
Luigi Ferrarella