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 2010  dicembre 28 Martedì calendario

STORIA IN NERO DELLE BANCHE

Gli ultimi due anni, dal 2008 al 2010, sono diventati a poco a poco lo spazio cruciale di un fenomeno eccezionale che ha percorso il mondo intero: una crisi economica che non ha eguali e che supera, senza dubbio, quella del 1929, profitti eccezionali da parte di banche e imprese che hanno speculato sui ribassi dell’euro che ha distrutto il risparmio delle famiglie, falcidiato i posti di lavoro e ipotecato il futuro dei giovani.
La crisi è tuttora in corso e il nostro paese, a differenza degli altri Stati europei, non ha intrapreso una politica economica preoccupata della crescita e dello sviluppo, badando soltanto a limitare la spesa corrente. Questo è l’errore centrale compiuto dal governo Berlusconi. E coglie questo errore di fondo Elio Lannutti nel suo Bankster (Editori Riuniti, pp. 415, euro 15) che racconta con grande chiarezza, attraverso la lunga intervista di Andrea Cinquegrani e Rita Pennarola, una vicenda che copre gli ultimi decenni e accusa direttamente i banchieri e gli imprenditori-dirigenti finanziari che hanno guidato la Federal Reserve, la Banca d’Affari Goldman Sachs e la Lehman Brothers che hanno concordemente fondato il rilancio dell’economia sul debito regalando il denaro al tasso dell’un per cento a milioni di americani che non avrebbero potuto permettersi una casa con il proprio reddito.
INUTILI le denunce che pure c’erano state contro l’istigazione al debito e lo scandalo dei derivati che sono dodici volte il Pil del mondo: quelli fuori bilancio ammontavano lo scorso anno a 700.000 miliardi contro un Pil (l’economia reale prodotta dalla fatica degli uomini) pari a 55.000 miliardi.
Basta guardare le due cifre a confronto per rendersi conto della situazione che si è determinata e i profitti straordinari che banchieri e dirigenti hanno realizzato a vantaggio dei ceti sociali, dipendenti, pensionati, giovani, che hanno perduto il lavoro o vanno avanti con redditi che non sono in grado di assicurare la sopravvivenza.
Lannutti, che è un senatore attivo nelle commissioni finanziarie del Parlamento, chiede la precisazione di regole certe e di un Tribunale internazionale che intervenga contro il ladrocinio accertato da parte degli attori principali delle banche e delle società finanziarie che hanno determinato la crisi economica e realizzato immediati profitti di decine di milioni di euro in pochi mesi.
PER TENTARE calcoli più precisi basta pensare che la banca d’affari Goldman Sachs di Paulson, ha elargito nel 2007 ben 600 mila dollari a ognuno dei suoi dipendenti e almeno 7 milioni di dollari l’anno ai suoi manager.
E un ruolo centrale, secondo il senatore Lannutti, hanno avuto la Banca d’Italia e la Consob che di fronte alla crisi hanno svolto un ruolo da pompieri piuttosto che da controllori come le leggi avrebbero chiaramente indicato.
Sono assai dure le accuse che muove il parlamentare agli organi di controllo della finanza italiana e internazionale che mettono in luce il corporativismo strutturale dei banchieri come dei dirigenti degli istituti che sembrano tener conto assai poco dei bisogni della collettività rispetto agli interessi dei consorzi finanziari da cui sono stati espressi.
E questo mette in discussione alle radici, il ruolo di arbitri che dovrebbero avere per far funzionare le istituzioni secondo il disegno costituzionale che li ha creati.
Il senatore Lannutti ha tentato con gli strumenti parlamentari di delineare le riforme legislative necessarie per superare l’impasse, ma si è trovato sempre di fronte all’opposizione netta della maggioranza e alle incertezze e divisioni dell’opposizione nel suo complesso.
È chiaro ormai che soltanto un nuovo confronto elettorale tra le forze politiche e l’esito vittorioso di un’alternativa all’attuale maggioranza potrebbero produrre un ritorno alla logica costituzionale e alla creazione di organi in grado non soltanto di garantire formalmente la neutralità ma anche di agire a difesa degli interessi più generali della società, a cominciare da quelli che lavorano per la produzione.
MA, DI FRONTE alla situazione di stallo che si è creata con la grande crisi economica, alla complicità degli organi di controllo rispetto alle società finanziarie e alle banche che hanno approfittato del crollo e hanno speculato su di esso, viene in mente quello che è successo quando l’alternativa politica in Italia, dopo la Prima guerra mondiale, poneva il nostro paese di fronte all’ascesa di una destra come quella del fascismo che ha dominato per un ventennio, poco più di quello dominato da Silvio Berlusconi.
E oggi abbiamo a disposizione uno studio di Gerardo Padulo, pubblicato dalla Società per la storia delle istituzioni, che indica con precisione chi furono negli anni Venti I finanziatori del fascismo (Quaderno n. 1, pp. 111, marzo 2010, euro 10).
SE SI VA a leggere con attenzione chi siano stati nel primo dopoguerra i finanziatori del movimento fascista, ci si trova di fronte a tutto il gotha dell’industria e della finanza italiana che sceglie con una certa sicurezza il movimento mussoliniano come interlocutore privilegiato per il governo nazionale a sostituzione di una classe politica liberale divisa e incapace di scegliere una linea di governo alternativa.
Tra i sottoscrittori si trovano personaggi che diventeranno in seguito assai noti e strenui sostenitori del regime come il commendator Giuseppe Feltrinelli e Piero Pirelli che conferiscono rispettivamente 3 mila e 10 mila lire al movimento che si ispira al leader romagnolo e ai suoi allora pochi seguaci sparsi nella Penisola.