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 2010  dicembre 28 Martedì calendario

UN MONDO DI COLLEZIONISTI

Manette, bustine da tè sfuso, fogli di carta igienica, alberi in miniatura, 164 differenti versioni della canzone Over the Rainbow, odori in bottiglia, parchimetri meccanici, cucchiai, etichette di banane, dinosauri di plastica, aspirapolvere, oggetti di forma fallica, tostapane, bastoncini pubblicitari, cimeli politici, e infine, molto semplicemente, oggetti inutili. Così, per festeggiare i suoi vent´anni, la rivista Colors, del centro di ricerca Fabrica, ha invitato venti collezionisti a parlare della loro passione in un numero intitolato Colors Lector (gioco di parole con collector, ossia "collezionista"). La loro provenienza? Portogallo, Norvegia, Canada, Germania, Usa, Gran Bretagna, Cile, Italia (dove Meri Franco Lao, con la sua strepitosa collezione di libri e oggetti sul tema delle sirene, è ormai diventata un´autorità mondiale).
Ma che cos´è una collezione? Come nasce? A cosa serve? In genere il collezionismo viene definito come il piacere di riunire in maniera più o meno sistematica materiali che rivestono un interesse particolare per il proprietario della raccolta. L´idea di catalogare, conservare, accumulare particolari oggetti può nascere dai motivi più diversi, può toccare ogni tipo di ambito, e anzi acquista interesse proprio dall´estrema varietà degli scopi perseguiti. Noto fin dal periodo classico (Pompeo e Cesare amavano collezionare trofei di guerra), questo fenomeno si ritrova in epoca medievale, quando Carlo Magno e Federico II di Svevia si rivelarono avidi cacciatori di reperti antichi.
Ma fu con il Rinascimento, che nacquero le maggiori collezioni private, specificamente dedicate alle arti figurative. Basti pensare a quelle dei Medici, dei Montefeltro, dei Visconti, dei Gonzaga, dell´imperatore Carlo V, di Carlo I d´Inghilterra, di Francesco I di Francia, della Chiesa e delle famiglie nobili romane (Borghese, Barberini, Ludovisi, Doria-Pamphili ecc.). Ancora pochi anni, e Colbert è incaricato di costituire la galleria del Louvre, mentre in area tedesca si diffonde la moda delle Wunderkammer, o "camere delle meraviglie", che accolgono insieme artefatti e prodotti della natura (dai coccodrilli imbalsamati alle rose del deserto).
L´ultima trasformazione riguarda il secolo scorso, che ha visto il collezionismo trasformato in puro investimento, affidato a mercanti d´arte o case d´aste. Lo spirito del "vero" collezionismo, però, è tutt´altra cosa, completamente slegato dalla presenza del mercato. E´ quello, per esempio, di Siegmund Warburg, membro di una grande famiglia di banchieri ebrei, che decise di lasciare la Germania portando in Inghilterra 60.000 volumi d´arte (la più grande collezione privata al mondo). Ancora più evidente il caso di un altro Warburg, il grande Aby, padre dell´iconologia e fondatore dell´omonimo istituto londinese. Il visitatore che volesse consultare il suo archivio personale e la vasta collezione fotografica, scoprirà un insolito sistema di indicizzazione: la collezione è infatti organizzata per soggetto, secondo la divisione della storia umana cara al suo ideatore, ossia nelle categorie di Azione, Orientamento, Parola, Lingua.
Ora siamo davvero vicini alle radici di questo inquietante fenomeno, tanto lucrativo quanto perturbante, tanto spleculativo quanto idiosincratico. Tuttavia, manca ancora un piccolo passo. Per compierlo, occorrerà restare in terra tedesca, affidarci alla più grande filosofa del Novecento, ed esplorare le carte di colui che del Novecento fu il più eterodosso pensatore. Stiamo parlando di un saggio del 1968 che Hannah Arendt dedicò a Walter Benjamin: Il pescatore di perle. Come Benjamin ha probabilmente evidenziato per primo, leggiamo, il collezionismo è la passione dei bambini e l´hobby dei ricchi. Per i primi, le cose non rappresentano ancora oggetti d´uso, e non vengono valutate sulla base della loro utilità. Per i secondi, che già possiedono tutto, il bisogno di cose utili è completamente sparito, e questo dà loro il compito di "trasfigurarle".
Ma perché incaponirsi a comperare gingilli di ogni tipo, perché fissarsi sul loro acquisto materiale? La risposta di Benjamin è recisa: «Perché il possesso è, fra tutti, il rapporto più profondo che sia possibile stabilire con le cose». Ciò spiega il valore dell´elenco da cui siamo partiti: che si tratti di tappi di sughero o portaspilli, aerei o scacchiere, in ogni caso un oggetto da collezione possiede soltanto un valore amatoriale e nessun valore d´uso. Ed eccoci al punto più sorprendente. Proprio perché il collezionismo può concentrarsi su qualsiasi oggetto, questo oggetto non è più un mezzo inteso a un fine determinato, ma giunge a possedere un suo valore intrinseco. Ciò porta Benjamin a definire tale atteggiamento analogo a quello di un rivoluzionario. L´accostamento suona alquanto incongruo. Forse per questo, la Arendt lascia ora la parola all´autore: «Al pari del rivoluzionario, il collezionista si trasferisce idealmente non solo in un mondo remoto nello spazio o nel tempo, ma anche in un mondo migliore, dove gli uomini, è vero, sono altrettanto poco provvisti del necessario che in quello di tutti i giorni, ma dove le cose sono libere dalla schiavitù di essere utili».
Da qui la conclusione: il collezionismo rappresenta la redenzione delle cose, che deve fungere da complemento alla redenzione dell´uomo. Dietro il feticismo di chi accumula cose, sta insomma l´intento di trattare la cosa come fosse un essere umano, e non un mero strumento. Non male, come esito finale, per chi cercava solo cavatappi, francobolli o cappelli! Davvero, per festeggiare il suo ventennale, la rivista Colors non avrebbe potuto scegliere un tema di migliore auspicio.