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 2010  dicembre 24 Venerdì calendario

Se il panettone classico diventa una perversione - Già doverlo chiamare pa­nettone classico mi urta il si­stema nervoso

Se il panettone classico diventa una perversione - Già doverlo chiamare pa­nettone classico mi urta il si­stema nervoso. Il panettone è panettone. Senza bisogno di aggettivi e di specificazioni. Saranno poi gli altri, i surroga­ti che hanno invaso il mercato e rovinato una bella storia, a doversi qualificare. Purtrop­po, un Natale dopo l’altro, questa campagna a difesa del­­l’ortodossia e della tradizione si sta rivelando sempre più ar­dua. Attaccano da tutte le par­ti. Caramellati, ricoperti, rive­stiti, farciti, imbastarditi e che il diavolo se li porti. A questo disgraziato panettone hanno inflitto di tutto. Non gli hanno risparmiato le sevizie più tur­pi. Prima, sull’onda emotiva sollevata dal solito nipotino carogna, hanno cominciato a mutilarlo orrendamente dei canditi. Poi le zie zitelle han­no cominciato a loro volta la battaglia contro l’uvetta: e via anche l’uvetta. Da lì in poi, uno sfregio dopo l’altro. Gli hanno messo in testa il ciocco­lato e la glassa, l’hanno defor­mato nelle forme geometri­che più strane, gli hanno sirin­gato gli intrugli più inverosi­mili, dalla crema alla marmel­­lata, dalle scaglie di cacao ai pezzetti di torrone. E alla fine l’umiliazione più beffarda: lo chiamano pure panettone. È il momento di dire basta. Bisogna reagire, prima che succeda l’irreparabile:l’estin­zione della specie. Lanciamo­la subito, questa doverosa campagna di civiltà: salviamo il panettone. Cortei, raccolte di firme, appelli televisivi: ser­ve tutto. Io sono pronto a inca­tenarmi davanti ai cancelli della Motta, ultimo e glorioso baluardo che non ha mai abdi­cato ai suoi valori supremi e alle sue ricette storiche. Però dobbiamo saperlo: combattiamo una causa di­sperata. Là dentro, tra le torri cartonate dei supermercati, il panettone è sopraffatto. Si fati­ca a trovarlo. Lo nascondono con vergogna. La povera crea­tura è sovrastata da tutte le mutazioni genetiche che i di­versi laboratori si sono inven­tati nel corso degli anni. Cia­scuno di noi deve sapere cosa l’aspetta: entrare e chiedere un semplice panettone sta di­ventando rischioso. L’umani­tà, lì attorno, reagisce con gli sguardi più sinistri. Clienti e commessi: hanno tutti l’aria di farci sentire dei depravati. È questo il destino delle cau­se estreme. Oggigiorno, stare dalla parte del panettone di­venta maledettamente più scomodo. Si va incontro al­l’emarginazione. Alla perse­cuzione. Chi ancora osi affron­t­are il parentado con un panet­tone si espone al disprezzo si­curo: guardalo, si presenta con un panettone e nemme­no si vergogna, non è neppure mandorlato. Ci sono cognate che arrivano al punto di van­tarsi del crimine più efferato, per umiliarci:quest’anno pro­verai, ho comprato un panet­tone speciale, è come mangia­re la colomba. Una volta non era così dura. Bastava prendere posizione in un preciso dualismo, schie­randosi senza se e senza ma tra panettone e pandoro, co­me tra mare e montagna, zoc­coli e infradito, collant e auto­reggenti, Beatles e Rolling Sto­nes, Vespa e Lambretta, spu­mante e champagne. Era bat­taglia anche allora, perché i due partiti non si risparmiava­no i colpi sotto la cintura: il pa­nettone è una mattonata, il pandoro è snob, il panettone è per gente rude, il pandoro è per gente invertebrata. Il pa­nettone è per i poveri, il pan­doro è per i ricchi. Il panetto­ne è roba da uomini, il pando­ro è articolo per signorine. E via degenerando. Ma adesso. Adesso festeg­giare il Natale con una sempli­cissima fetta di panettone, con i suoi bravi canditi e la sua bella uvetta, magari dopo una mezz’ora sul calorifero per re­stituirgli un po’ di vita, ecco, questo semplicissimo rito del­­l’antichità sta diventando im­barazzante e proibito. A me fa peso, a me i canditi fanno schi­fo, io preferisco il pandoro: ed è così che si perviene alla sco­perta più triste, nessuno ha pensato di portare il panetto­ne. C’è tutto, dal dattero post­moderno con il cuore di tartu­fo al torrone ricoperto di pi­stacchio, dal pandoro che sa di veneneziana alla venezia­na che sa di melanzana: ma il panettone no,non c’è più ver­so di trovarne una fetta in gi­ro. Allora diamoci una mossa. Fossimo anche rimasti in quattro gatti (uno sono io, ne mancano tre), dobbiamo alza­re la voce. Giù le mani dal pa­nettone. Diciamo forte e chia­ro che per noialtri il panetto­ne è una conquista dell’uma­nità, e non si capisce perché l’Unesco,tra le tante cretinate messe sotto tutela (ormai mancano solo le natiche di La­dy Gaga), non senta il dovere di rendere giustizia al nostro impareggiabile dolce natali­zio. Comunque, non importa. Siamo superiori. Facciamo da soli. Per questi giorni di bat­taglie feroci, militanza dura e senza paura. Non ci presentia­mo a nessuna tavolata senza il panettone. No panettone, no party. Party chiari, amicizia lunga. E perché sia chiaro a tutti il nostro orgoglio, pro­pongo da ora in poi di chia­marlo alla Mourinho, senza offesa: si scrive Panett-one, si prouncia Panett-uan.