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 2010  dicembre 27 Lunedì calendario

VITA DI CAVOUR - PUNTATA 52 - UNA QUESTIONE DI VINO

Siamo tornati a Torino. Sì. Monsignor Corboli Bussi fu ricevuto da Carlo Alberto e, sorprendentemente, trovò il re freddissimo sull’idea della Lega. Il re s’aspettava piuttosto che il papa gli chiedesse aiuto per la faccenda di Ferrara. Voleva la guerra, e quella era la guerra che voleva: contro l’ Austria, e in difesa della religione. Ingrandirsi, e magari trasformarsi in una specie di re d’Italia, da consegnare alla leggenda. Restando monarca assoluto, naturalmente, senza cioè che la conquista del Lombardo-Veneto significasse il passaggio a un regime rappresentativo. Quanto alla Lega, che me ne importa? I regnanti italiani sono tutti austriaci. Leopoldo? È un Asburgo anche lui. Questi ragionamenti tennero Corboli Bussi sulle spine per parecchi giorni. Pio IX scrisse personalmente al re: «La Lega è un mezzo efficace per sostenere la tranquillità d’ Italia» . Venne a Torino, mandato da Londra, Lord Minto, a fare da mediatore. Infine Corboli Bussi trovò l’ argomento-chiave: che impressione avrebbe fatto, sull’ opinione pubblica, la notizia che proprio il re di Sardegna aveva rifiutato un’alleanza col papa? Era l’ottobre del 1847, le finestre di Palazzo Reale erano già piene delle grida «Viva Pio IX» provenienti dalla strada. Senza averne nessuna voglia, Carlo Alberto dovette accettare e il 3 novembre - 3 novembre 1847 - venne dato l’annuncio, una «lega doganale esser convenuta in massima fra gli stati della Santa Sede, di Sardegna e Toscana» .

Mi è completamente nuova l’inclinazione di Carlo Alberto per la guerra all’Austria.

I piemontesi avevano dato agli svizzeri il permesso di trasportare attraverso la Savoia il sale acquistato a Genova. Secondo gli austriaci questo contravveniva a un accordo del 1751. Il governatore di Milano aveva convocato allora l’ambasciatore sardo e gli aveva detto che, per rappresaglia, il dazio sul vino che dal Piemonte andava in Lombardia sarebbe passato da lire austriache 9.10 a lire 21.45. Significava «la esclusione assoluta dal mercato lombardo dei vini piemontesi» (Bersezio). Metternich contava di mobilitare viticoltori e proprietari contro il re, una tattica che aveva già sperimentato in Galizia dove aveva favorito una rivolta comunista dei contadini ruteni contro i nazionalisti polacchi, tutti proprietari terrieri.

Tutto questo per il commercio del sale?

In generale, i rapporti s’erano guastati da un pezzo. Carlo Alberto, all’inizio talmente amico di Metternich da avergli dato il permesso di intervenire in Piemonte in caso di sommosse, aveva poi lentamente preso le distanze, specialmente quando s’era capito che Luigi Filippo non era affatto rivoluzionario, cioè dal lato francese non c’era niente da temere. Aveva disertato la cerimonia d’incoronazione di Ferdinando I d’Austria e le relative feste a Milano e a Monza. Nel ‘39 s’ era rifiutato di aderire alle sanzioni economiche contro il Canton Ticino, volute da Vienna… Ai Savoia in genere gli austriaci non erano mai stati simpatici. Nel ‘40 ci fu un alterco tra il ministro Villamarina e il loro ambasciatore a Torino, Schwarzenberg, il quale pretendeva che i soldati occupassero le posizioni sul Po, al che Villamarina aveva risposto: «Quando il re l’ordini», e lo Schwarzenberg: «Siamo noi che dobbiamo occupare quelle posizioni» e il Villamarina: «A casa vostra» e così via. Nell’agosto del ‘42 il Piemonte voleva dazi meno pesanti sull’import dalla Lombardia, dato che, cifre alla mano, il Regno comprava adesso molta più merce di prima. Metternich rispose di no. Torino, per ripicca, non rinnovò la convenzione doganale per la lotta al contrabbando sul Lago Maggiore. Ci metta la guerra fredda sui treni. E ci metta una considerazione di carattere generale: in una logica imperialista (e sia pure nano-imperialista, trattandosi del Piemonte) in che direzione avrebbe dovuto espandersi il Regno di Sardegna? Chiaramente a est, verso il Lombardo-Veneto. Una volta il ministro Villamarina aveva chiesto: «A che scopo manteniamo, in tempo di pace, un esercito tanto costoso? Per portar via ( arracher ), bene o male, qualche provincia alla Casa d’Austria, quando capiti l’occasione. È la natura delle cose che fa della Francia la nostra alleata naturale. Contro l’Austria, nostra naturale nemica».

Come se la cavarono con la faccenda del vino?

Il Piemonte non esportava troppo vino, ma i quattro quinti di quello che vendeva all’estero andava in Lombardia (centomila ettolitri su 142 mila). I piemontesi aiutarono il proprio re. Sineo scrisse sulla «Gazzetta»: «L’Austria non vuole i nostri vini? Buon per noi! Li faremo conoscere al mondo intero» . Il guaio del vino di qui era che, posto in viaggio, subito girava. Ad Alessandria e Valenza l’Agraria indisse un concorso sul modo di irrobustirlo affinché resistesse nel tempo e sopportasse un trasporto più lungo. Valerio lanciò una «sottoscrizione nazionale per lo smercio dei vini piemontesi all’estero» . In Lombardia la cosa si guardava con molto interesse. Molti lombardi avevano terre nell’Oltrepò pavese e in Lomellina. Magari Carlo Alberto si fosse messo davvero a far l’antiaustriaco! Tutto questo accadeva prima ancora che fosse eletto Pio IX.