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 2010  dicembre 27 Lunedì calendario

LA BABELE DEI DIPENDENTI REGIONALI. IN SICILIA COSTANO 12 VOLTE PIU’ DEL VENETO —

Con il 15%della superficie forestale nazionale, tre regioni meridionali (Sicilia, Calabria e Campania) hanno in carico il 75%del personale regionale addetto in tutta Italia alla tutela del patrimonio boschivo. Cesare Fumagalli sintetizza con questo esempio le difficoltà, enormi, che l’attuazione del federalismo è destinato a incontrare in questo Paese. Percorso che il segretario generale della Confartigianato considera però inevitabile: «Perché ogni volta che si è allontanato il potere decisionale dal centro di spesa il Paese ne ha pagato pesanti conseguenze. Quando sulle pensioni di invalidità decideva soltanto lo Stato, ci costavano 6 miliardi. Dal 2003 il potere decisionale è passato alle Regioni ma il compito di pagare è rimasto allo Stato. E in sette anni siamo passati da 6 a 16 miliardi» . Ma la colpa non è tutta dello strabismo che affligge spesso la nostra pubblica amministrazione. Strabismo, peraltro, che esiste perché qualcuno ha voluto che ci fosse. Pesantissime sono le responsabilità della politica, evidenti dai numeri che l’ufficio studi dell’organizzazione degli artigiani ha messo in fila in due studi sulla spesa regionale e sulla fiscalità locale. Fa certamente impressione scoprire che su ogni valdostano, come su ogni bolzanino, grava un costo del personale regionale cento volte superiore a quello sopportato da ciascun cittadino lombardo: circa 2.100 euro l’anno contro 21. Anche se va tenuto presente che la Regione Valle d’Aosta e la Provincia di Bolzano sono enti locali dotati di ampia autonomia e pagano direttamente personale che altrove è stipendiato dallo Stato, ad esempio gli insegnanti. Per questo fa ancora più impressione apprendere che la Campania, Regione a statuto ordinario, spende 70 euro procapite, più del triplo della Lombardia, altra Regione a statuto ordinario, una delle poche insieme a Veneto, Liguria, Emilia-Romagna e Toscana a ritrovarsi sotto la media nazionale. E che il Molise, la più piccola fra le Regioni «ordinarie» italiane, sborsa per retribuire il proprio personale qualcosa come 173 euro per ogni suo cittadino. Ovvero, ben oltre il doppio della Campania. Quasi tre volte la Calabria (62 euro a residente), che quanto a pubblica amministrazione non può essere di sicuro considerata uno dei migliori esempi. Da tener presente che perfino due Regioni autonome come Friuli-Venezia Giulia e Sardegna hanno una spesa procapite inferiore a quella molisana. Si è visto che l’autonomia comporta di regola spese locali più elevate a causa di competenze più vaste, ma va detto che talvolta può essere anche un comodo paravento per l’assistenzialismo. Non si spiega diversamente come la Sicilia, con 5 milioni di abitanti, abbia un costo del personale ben dodici volte superiore a quello del Veneto, che di residenti ne ha 4,9 milioni: un miliardo 782 milioni di euro contro 151 milioni. Tuttavia gli stipendi dei dipendenti sono soltanto una fetta della spesa globale. Il fardello economico della burocrazia regionale è ben più pesante. Considerando anche l’esborso per gli «organi istituzionali» , cioè il costo della politica più visibile, ogni cittadino del Lazio spende 247 euro l’anno, il quadruplo della Lombardia (61 euro), che è la Regione «ordinaria» più virtuosa, e pressoché il doppio nei confronti della Campania (133 euro). All’altro capo, manco a dirlo, il solito Molise: 333 euro a persona. Logico, perciò, che pure nella graduatoria generale occupi saldamente la prima posizione. Nel Molise la spesa complessiva della Regione, investimenti compresi, secondo i calcoli dell’ufficio studi Confartigianato, è pari infatti al 25,4%del Prodotto interno lordo. Una quota ancora più alta della Sicilia, che si ferma (per modo di dire) al 24,8%. Parliamo di una percentuale due volte e mezzo maggiore rispetto al Veneto. Va da sé che con valori così elevati di uscite i tributi «propri» , come l’addizionale Irpef e l’Irap, non riescano a coprire che una parte minore delle entrate correnti, cioè dei soldi necessari a far funzionare la macchina. Siamo appena al 46,7%, molto al di sotto non soltanto dell’inarrivabile Trentino-Alto Adige, dove il tasso di copertura tocca il 96,5%, ma anche della Lombardia (92,8%) e di tutte le Regioni del Centro-Nord, comunque attestate sopra l’ 80%. E perfino della Sicilia (73,3%) e della Campania (63,5%). Nel 2009 i quattro principali tributi locali (Ici, Irap, addizionali regionale e comunale dell’Irpef) hanno garantito un gettito di 58 miliardi e 11 milioni di euro: il 3,76%del Pil. Ma con differenze notevoli fra le aree territoriali. La Regione dove il peso delle imposte locali è più grande è il Lazio. La pressione delle quattro tasse sfiora il 5%del Pil. Più del Piemonte (4,66%) e della Lombardia (3,98%). Quasi il doppio rispetto al Trentino-Alto Adige (2,76%). Ma la situazione cambia se invece delle famiglie si prendono in considerazione le piccole imprese. Allora il gravame delle imposte locali è maggiore in Abruzzo e Campania. La Provincia meno «attrattiva» fiscalmente, per usare una definizione della Confartigianato, risulta quella di Teramo, dove le quattro tasse locali per un’impresa tipo con cinque persone che lavorano, di cui tre dipendenti, raggiunge l’ 8,1%del valore aggiunto. Quasi il 40%in più rispetto alla Provincia di Bolzano.
Sergio Rizzo