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 2010  dicembre 24 Venerdì calendario

LA BOTTEGA DEL GENIO

Come faceva Caravaggio a dipingere in uno studio al buio, su una tela preparata con colori scuri, mentre il modello era illuminato da un fascio di luce che proveniva di solito dall’ alto, probabilmente da una finestra? Le principali ipotesi, formulate in vent’ anni di studi, sono ora messe a confronto in una mostra singolare, a metà tra il set cinematografico e il laboratorio scientifico, ideata dalla soprintendente del polo museale romano Rossella Vodret e curata da Claudio Falcucci. «L’ idea - spiega Vodret - nasce dal fatto che, nonostante l’ imponente bibliografia su Caravaggio, il modo in cui l’ artista realizzava i suoi capolavori sia ancora un enigma. Così abbiamo pensato a una mostra diversa da tutte le altre. Non abbiamo esposto opere d’ arte, ma ipotesi di ricerca, ricostruendo la misteriosa bottega dell’ artista e allestendo, in altrettante sale, le tre ipotesi più accreditate dagli studiosi, più una proposta collegata al dipinto di san Girolamo scrivente, oggi alla galleria Borghese». La prima sala è stata oscurata, lasciando intensamente illuminati solo gli spazi che alloggiano i modelli tridimensionali della «Canestra di frutta». Il visitatore, nell’ ombra, può osservare le immagini proiettate con l’ aiuto di sistemi ottici semplici, già disponibili al tempo di Caravaggio. Su tre tele distinte si formano le rappresentazioni simultanee ottenute per mezzo di un foro stenopeico (dal greco stenos opaios, piccolo foro), di un foro con lente e di uno specchio concavo. La canestra, ricostruita in vetroresina, viene proiettata su tre tele diverse per verificare la messa a fuoco dell’ oggetto osservato. Un’ altra sala, destinata soprattutto alle attività didattiche, illustra invece come è possibile impiegare specchi per la realizzazione di autoritratti. Il modello in resina, a grandezza naturale, del «Bacchino malato» invita il visitatore ad assumerne la stessa posa, in modo che lo specchio li accomuni in una sola immagine. La terza sala esplora il possibile metodo di illuminazione del modello. In questa ricostruzione, si vede come la luce entri da una finestra e si rifletta su uno specchio piano, il cosiddetto «specchio grande», citato nell’ «Inventario delle robbe» del 1605, che elenca i beni posseduti all’ epoca dall’ artista nella sua casa-bottega di vicolo di san Biagio a Roma. Il fascio di luce, così potenziato, investe la figura del modello, che tutto illuminato viene proiettato sulla tela attraverso un altro specchio piano. Secondo Vodret «Caravaggio dipingeva guardando l’ immagine così illuminata e riflessa nel secondo specchio». La ricostruzione è molto suggestiva, anche perché il manichino di san Girolamo è talmente realistico che gli occhi appaiono addirittura lacrimosi per la stanchezza. E il visitatore può posizionarsi direttamente nello stesso punto in cui lavorava il pittore, visualizzando il modello nello specchio. Oppure, girando intorno alla pedana dove è allestita la scena del santo chino sul tavolo colmo di libri, giocare addirittura a creare una composizione personale e inedita del «San Girolamo» caravaggesco, fotografando il soggetto da altre prospettive. Lo stesso gioco si può fare con la testa di Medusa, anch’ essa in vetroresina con il fiotto di sangue che cola dal collo reciso. Il percorso si chiude con la sala che espone le pagine della «Magia Naturale» di Giovan Battista della Porta, del 1558, ma riedito con ampliamenti nel 1589, al tempo in cui Caravaggio studiava a Milano presso la bottega di Simone Peterzano. È una delle fonti al quale il Maestro lombardo potrebbe essersi ispirato per i suoi esperimenti pittorici.
Lauretta Colonnelli