CARLO BONINI, la Repubblica 24/12/2010, 24 dicembre 2010
LA FIRMA DEGLI ANARCHICI
Un mittente di fantasia – «Dalle Alpi alle Ande – via Mameli 84 – Roma» – e due francobolli italiani. E ancora: una rivendicazione contenuta in una scatolina, rimasta indenne dal fuoco e dall´esplosione.
Sono leggibili una parte del testo e la firma: «Federazione Anarchica Informale. Cellula Lambros Fountes». Da ieri pomeriggio, brandelli di carta annerita e resti del contenuto dell´involucro postale esploso nell´ambasciata cilena indicano, per dirla con le parole della nostra Antiterrorismo (Digos e Ros), «l´assoluta certezza della matrice anarco-insurrezionalista» nell´attacco simultaneo alle sedi diplomatiche di Svizzera e Cile. Di più: suggeriscono, con altrettanto «ragionevole certezza», che l´indirizzo di spedizione e la mano degli attentatori sono italiane. O, quantomeno, che è in Italia che le bombe sono state confezionate e affidate al nostro servizio postale. Perché questo dicono i francobolli e, soprattutto, questo dice il testo e la firma della rivendicazione, con il richiamo a una sigla (Fai) e a un nome del Pantheon dell´anarco-insurrezionalismo (Fountes è un anarchico greco) già utilizzati in passato. L´ultima volta, neppure due mesi fa, per un pacco bomba inesploso recapitato alla stazione dei carabinieri di Gianicolense, a Roma. Attentato rivendicato all´emittente Radio Block di Torino.
«Abbiamo deciso di far sentire la nostra voce con la parola e con i fatti - si legge nella rivendicazione scritta al computer e ritrovata nei resti del plico bomba proiettati al momento dell´esplosione sugli indumenti della vittima che lo maneggiava nell´ambasciata cilena - Distruggeremo il sistema di dominio. Viva la Fai. Viva l´Anarchia». Poche righe sufficientemente chiare di un testo per altro più lungo (una pagina circa) tutt´ora all´analisi della Digos e in cui non mancano riferimenti a un «fronte di lotta internazionale» in cui vengono indicati quali obiettivi la Spagna, la Grecia, il Messico, il Cile e l´Argentina («Solidarietà ai compagni prigionieri. Ai gruppi che in Spagna, Grecia, Messico, Cile, Argentina e in qualunque altro posto combattono e continuano ad alzare il tiro»). Poche righe che, per altro, incrociate con l´ironia sinistra utilizzata per indicare il mittente, in queste prime ore, fanno ritenere all´Antiterrorismo che con le esplosioni nell´ambasciata Svizzera ("le Alpi") e quella del Cile ("le Ande"), l´operazione di terrore simultaneo - o almeno «questa operazione» - possa considerarsi conclusa. Anche perché - aggiungono ancora fonti qualificate di Ros e Digos - i due obiettivi sono tutt´altro che casuali nel loro accostamento.
A Santiago del Cile, nel maggio del 2009, era morto infatti Mauricio Morales, dilaniato dall´esplosione di un estintore imbottito di polvere nera con cui si preparava ad attaccare una caserma della Gendarmeria. E nel nome di Mauricio Morales, il Fai (Federazione Anarchica Informale) aveva colpito alla Bocconi di Milano e al Cie (Centro di identificazione ed espulsione) di Gradisca di Isonzo (dicembre 2009). Non diverso il discorso per la Svizzera. È in Svizzera, infatti, che sono oggi detenuti Silvia Guerini, Costantino Ragusa e Luca Bernasconi (italiani i primi due, svizzero ticinese il terzo), arrestati il 15 aprile scorso con l´accusa di essere in procinto di colpire una sede svizzera dell´Ibm. Tutti e tre, per altro, evocati nel recente sciopero della fame («in segno di solidarietà») di un altro celebre anarco-insurrezionalista svizzero detenuto dal 1991, Marco Camenisch, arrestato in Italia dopo un conflitto a fuoco con la polizia.
Anarco-insurrezionalisti del Fai (Federazione Anarchica Informale), dunque. Una sigla che dice tutto e il suo contrario. «Un contenitore senza veri padroni», un «brand usato in franchising», come è stato più volte ripetuto in questi anni dalla nostra Antiterrorismo ogni qual volta questa firma ha fatto capolino dietro un botto che arriva dal nulla. Nell´ottobre del 2003 alla questura di Roma (il plico viene disinnescato), al ridosso del Natale di quello stesso anno a Bologna (l´obiettivo, questa volta, è l´abitazione dell´allora presidente della Commissione Europea Romano Prodi), nel marzo del 2005, a Genova e Milano (gli attentatori cercano il sangue nelle caserme dei carabinieri e in un deposito della Guardia di Finanza) e, appunto, nel dicembre 2009 a Milano e Gradisca di Isonzo. Un «brand» in cui nel nostro Paese - a stare alle stime del Dipartimento della Pubblica sicurezza - non si riconoscerebbe più di una qualche decina di militanti. «Slegato da un contesto politico nazionale». Ma che tuttavia, come una maledizione, si affaccia ogni qual volta la temperatura politica del Paese si alza (l´attacco alla Bocconi seguì di pochi giorni l´aggressione a Silvio Berlusconi in piazza Duomo). Finendo così per avere, se non altro oggettivamente e statisticamente, anche il cattivo odore della provocazione.