Malcom Pagani, il Fatto Quotidiano 24/12/2010, 24 dicembre 2010
GOLINO VIAGGI E MIRAGGI
Cartesianamente, le medicine stese sul tavolo di Valeria Golino, antibiotici e palline omeopatiche in democratica alternanza, abbracciano uno stesso problema. Padre napoletano, madre greca. Fari azzurri che un tragico ritorno da Londra via Parigi, affrontato nella neve tra aerei, treni, notti insonni e soste improvvise hanno trasformato in feritoie. Cerca un fazzoletto, agita il termometro. E’ ancora incredula. “Immagini sempre che avventure simili tocchino agli altri. Invece, da protagonista involontaria, ho assistito a un incubo. A un certo punto, dopo ore di attesa, quattro ferrovieri con movenze da Gestapo ci hanno sbattuto fuori dal vagone. Le facce torve, i binari ghiacciati sullo sfondo, i bambini lacrimanti. Mi dico: ’non può essere vero’. Alzo gli occhi e su un tabellone luminoso osservo la temperatura esterna. Meno quattordici”.
Quarantotto ore di traversate omeriche hanno generato febbre e tosse. Lei affronta la conversazione tra pause, dubbi: “Ho parlato per quasi un’ora senza dire nulla di interessante”, linee guida: “Odio generalizzare”, visite inattese: “Prego Mauro, non la aspettavo, deve vedere la cantina?” e colpi d’ala a corvèe conclusa: “Non ho ancora finito, mica avrà fretta?”. Cinquanta film, decine di registi, esperienze americane e francesi, un’opera da dirigere in preparazione pro-dotta con la pudìca complicità dal suo compagno, Riccardo Scamarcio. Del loro rapporto, profondo, misterioso e accerchiato dai media, Valeria parla malvolentieri: “Durante le pro-mozioni dei film, ti ritrovi per settimane a discutere di stronza-te. Nel disperato tentativo di difendere il tuo recinto personale, ti arrendi alla curiosità rivelando cose che poi rileggendo ti fanno arrossire per la vergogna”.
Riannodare i fili con gli estranei le pesa: “Credo che di me racconti molto più l’imbarazzo nel concedere un’intervista che l’intervista stessa”. Non mente. Della sua lunga parabola intrapresa a metà degli ’80 e imbastardita dall’imprevedibilità, elaborare una sintesi è complicato. Valeria è un bacio con Dustin Hoffman in un ascensore americano, un respiro in Vespa tra i sassi di Lampedusa, un lampo di fucile tra le langhe di Fenoglio. E poi una musica, una voce, un arcobaleno di capelli. Porte sbattute, piazze del sud, ventagli ed evasioni messicane quando il sogno della fuga stordisce e ci si accorge che i viaggi più belli sono quelli del tempo immobile. Golino è senza bandiera, età, passaporto. Il segreto di un volto insensibile alle stagioni, rende l’enigma anagrafico diabolico e l’interrogativo, inutile.
I biografi raccontano poco
sulla sua infanzia.
Laila e Luigi, i miei genitori, si separarono presto. Ho viaggiato tra Napoli e Atene. Tanti di quei passaggi ponte sotto le stelle da non ricordare più date, partenze, obblighi e ritorni.
Affascinante.
Meno di quanto non appaia. Provi lei ad attraversare quell’età senza un ancoraggio. Da bambino, la valigia nell’angolo non ti sembra romantica e 40 anni fa, la divisione familiare era meno normale di quanto non sia oggi.
Suo padre suonava il piano.
Non era Gould però aveva un talento naturale. Un dono brado che gli permetteva di trovare la melodia alla prima lettura.
Eravate ricchi?
Forse. L’età d’oro dell’impero Golino (ride ndr) franò alla morte di mio nonno paterno, proprietario di un albergo, il “Bella Napoli”. Avevo due anni. Gli agi di un’epoca lontana, a mia memoria, erano scomparsi da un pezzo quando ero ancora una bambina.
Che rapporto ha con il denaro?
(Diciamo, voglio dire. Prende tempo, è imbarazzata ndr). A seconda dei punti di vista può essere considerato sano o malato. Anche se la scriteriatezza dei vent’anni si è attenuata, non sono mai stata capace di conservarlo per costruire un futuro. Ho sempre speso per migliorare la qualità del mio quotidiano, ma senza saccheggiare chi non aveva nulla da darmi. Ho iniziato a guadagnare presto i miei soldi e, felicemente, voracemente, li ho dissipati.
Voleva fare l’attrice fin da piccola?
Avrei preferito fare la cardiologa. A sette anni mi sembrava una parola altisonante, la ripetevo con fierezza. Recitare è il frutto della casualità e di una violenta scoliosi che stravolse la mia adolescenza.
Racconti.
Entrai nel cono d’ombra a nove anni e ne uscii a 14. Un disagio emotivo e psichico fortissimo. Sempre a letto, malata, distante dalla felicità. Busti, fisioterapisti, dottori. Per guarire e operarmi mi trasferii persino a Chicago. Poi, improvvisamente, quando avevo perso la speranza, risalii in superficie.
E cosa accadde?
Mi ritrovai sulle passerelle. Modella. Andavo ancora a scuola. Poi, meritato, arrivò anche un colpo di fortuna. Andai a trovare il fratello di mio padre a Roma. Pranzo, baci, saluti. Sono già per strada quando sento la voce di mia zia: ’Valeria, sali, anzi corri. C’è una persona al telefono’.
Chi era?
Lina Wertmüllerche da mesi cercava invano una giovane ragazza per un film con Tognazzi e Piera Degli Esposti. Zia Mimma, una sfacciata assoluta, le aveva assicurato che l’isola non trovata fossi io.
Era vero?
Se quella telefonata l’avessero intercettata i miei genitori, oggi sarei un’altra. Erano timidi, riservati, discreti. Invece a rispondere fu la zia e io andai da Lina.
Come fu il colloquio?
Mi chiese di peparare l’ultimo monologo della Bisbetica domata. Io non sapevo neanche cosa fosse la bisbetica e ignoravo l’esistenza di Shakespeare. Per me William era un nome come un altro. Comunque studio come una pazza, torno in Grecia e due settimane dopo mi ripresento. Presa. Subito.
Fantastico.
Però esagerai. Avevo 17 anni, un tutore sul set, la paga razionata e alla prima pausa utile, invece di andare a letto a un’ora civile, organizzo con gli amici una trasferta siciliana. Appena arrivata, felice, incosciente, non savia, in piena
ebbrezza da fuga, ho un incidente.
Però.
Macchina devastata, schiena di nuovo a pezzi. Il film naturalemnte non lo finisco e invece di frequentare il cinema, ricomincio con la fisioterapia. Mi ricordo ancora lo sgomento di Peter Del Monte, il mio fidanzato di allora. Nel momento più alto della passione, fu costretto a recitare da infermiere.
Poi arrivò l’occasione di Ma-selli.
Storia d’amore. Un premio a Venezia. La coppa del Lido fu un volano per la trasferta americana . Partecipai a Rain Man, una lunga parentesi a migliaia di chilometri da casa mia. Qualcuno non capì.
Lei era quella che aveva voltato le spalle.
Avvertivo una vaga antipatia nei miei confronti e nonostante fossi tornata per mettermi a disposizione di Salvatores e Soldini, c’era sempre quella sensazione acre di non essere catalogabile.
Ricordi belli?
Sul set di Rain Man non mi divertii ma imparai che tra professionisti, bisognava essere disciplinati. Cruise, Hoffman, Barry Levinson. Capii che avrei dovuto smettere di farmi le canne prima di girare ( fino a quel momento l’avevo fatto senza danni) e che non sarebbe stato più il caso di
distrarsi. In quel periodo le cose mi
venivano facili , la mia vita riprendeva a scorrere, mi pareva che tutto mi fosse dovuto.
Delusioni?
Tante. I film che avrei voluto fare, quelli che avrei fatto meglio a rifiutare, le occasioni perse. Però le dico una cosa.
Prego.
Parlare del mio passato mi sembra di una noia mortale. Con la memoria ho un rapporto di pura cortesia. Non covo il piacere nostalgico del racconto, né l’esigenza di mettere un ordine cronologico al caos.
Andiamo al presente allora.
La Scuola è finita di Jalongo, l’opera in cui interpretavo una professoressa è stata un’esperienza importante. Un atto di coraggio del regista, un lavoro in cui ho creduto. Un Paese che dimentica la scuola non ha speranze.
Registi, dicevamo.
Ne ho incontrati tanti. Quello che mi ha fatto capire che un regista è il film che verrà, è stato Crialese. Respiro ebbe una lavorazione avventurosa, ma Emanuele diede retta solo a se stesso. Tutti intorno a consigliare, a suggerire, a temere e lui dritto. Disegnò il quadro che volle, dipinse un affresco magnifico.
Dopo aver ideato e girato un corto ha ancora voglia di girare?
Moltissima. Ho acquistato i diritti di un libro e il tema trattato è quello dell’eutanasia. Un argomento delicato a cui nessuno si vuole avvicinare.
Con Monicelli lei divideva il
quartiere,
L’addio di Mario mi ha addolorata. Non diffondo verità, ma sono certa che se avesse potuto morire in maniera diversa, con un gesto meno aspro, l’avrebbe fatto. Siamo imbevuti di credenze, morale cattolica, tabù. Anche la morte può essere vitale.
Cosa pensa del Paese in cui vive?
Che sbanda e annaspa ma non muore. L’anestesia delle idee e della reazione alle ingiustizie mi umilia ma al tempo stesso siamo di fronte a una grande occasione di riscatto. C’è una strana, sbilenca, ancora non codificata voglia di invertire il flusso.
Cosa la disturba davvero?
La retorica populista su tutto, da parte di tutti. Anche io apro bocca e a volte lascio campo aperto alle sciocchezze. Mi rileggo e penso: “Ma che cazzo sto dicendo?”. Poi mi rassereno. Ho un’impulsività ragionata e sono un’allegra malinconica. Vivo di contraddizioni. Rifletto e poi mi abbandono alla compagnia, al senso di appartenenza, ai punti di riferimento, agli amici di sempre. Isabella, Iaia, Sergio. Cosa sarei senza di loro?