Riccardo Viale, Nòva24 23/12/2010, 23 dicembre 2010
SPACCIATORI D’IMMAGINE (ITALIANA)
In giro per il mondo il prodotto "italiano" va per la maggiore. Intendo "italiano" non italiano, cioè un prodotto che non è realizzato in Italia, non è disegnato in Italia, non ha un’azienda italiana alle spalle, ma ha un nome italiano e si costruisce un’immagine italiana attraverso una mirata campagna di comunicazione e marketing. Il fenomeno è diffuso in varie parti del mondo, dalla Cina agli Usa. Come è possibile tutto ciò?
Il prodotto "italiano" sfrutta il "nation-branding" Italia, cioè quell’insieme di caratteristiche attrattive che i consumatori attribuiscono al nostro paese. Questa immagine del nostro paese che si può definire italianità si basa su una serie di categorie di cui le principali sono quelle sensoriali, cioè cosa è più evidente ai sensi, emozionali, ciò che è più saliente, e razionale, ciò che viene memorizzato con una rappresentazione esplicita e linguistica.
Per quanto riguarda l’Italia recenti ricerche empiriche hanno evidenziato che a livello sensoriale il nostro paese viene associato ad arte, cultura, cibo, moda, automobili; a livello emozionale a vacanza, bel tempo, buona cucina, bellezza, amicizia, simpatia; a livello razionale a lingua e storia. Il timbro dell’italianità sembra ben diverso da quello di altri paesi come la Germania (perfezione, solidità, qualità, affidabilità, ma non amicizia) o la Francia (arroganza, eleganza, servizi pubblici efficienti, oltre a moda, cucina, e vacanza).
L’italianità agisce su come ci rappresentiamo i prodotti che a essa sono collegati. In un recente studio si sono messi in luce le caratteristiche di eccellenza percepite dai consumatori su varie tipologie di prodotto. I risultati confermano l’influenza del nation-branding. Ad esempio il prodotto italiano è considerato il primo del mondo nello stile e nel design; secondo dietro la Francia nelle rifiniture; nella media con gli altri paesi per la qualità, prezzo e assistenza; in fondo alla graduatoria per tecnologia, resistenza e affidabilità (dove a primeggiare è la Germania).
Questa percezione si rispecchia in molti dati contenuti nel Rapporto sull’Innovazione del Cotec come quelli dell’export del le 4 A. Abbigliamento (22 milardi di surplus), Alimentare e vino (4 miliardi di surplus), Arredamento (12 miliardi di surplus). Rimane il dato della quarta A, l’Automazione e plastica che non è generato dalla percezione di caratteristiche, come tecnologia, affidabilità e resistenza da parte dei consumatori di massa (che abbiamo visto è piuttosto basso), ma da quella dei manager d’azienda responsabili degli acquisti dei beni strumentali.
Da tutto ciò emerge l’ipotesi di una forte influenza psicologica dell’italianità sul successo del nostro prodotto più legato alla "soft innovation" sia su tutti quei prodotti che si camuffano da italiani e in tal modo sfruttano l’attrattività da essa innescata. Questo dato è ovviamente inspiegabile all’interno di una teoria del consumatore razionalistica, come quella dell’economia neoclassica. Come è possibile, infatti, che un agente razionale sappia coscientemente che un prodotto non è fatto in Italia, disegnato in Italia, prodotto da stranieri, ma senta invece che è "italiano" e sia perciò incline ad acquistarlo. La teoria del consumatore emozionale sviluppata all’interno della scienza cognitiva ci da la spiegazione.
Il sistema 1 della mente, cioè quello di tipo intuitivo ed emozionale tende a prevalere nella maggior parte delle decisioni, soprattutto di quelle di tipo veloce e legate alla valutazione delle caratteristiche estetiche e sensoriali del prodotto. L’italianità innescata velocemente dal nome e da sapienti campagne promozionali e comunicative tende ad avere il sopravvento su un’analisi lenta e fredda sulle reali caratteristiche del prodotto.
Se questa analisi risulta corretta non sembrano efficaci le politiche restrittive e regolative che mirano a costruire certificati di italianità dei prodotti. I manufatti italiani delle tre A si difendono, invece, potenziando l’effetto branding delle aziende italiane, attraverso la comunicazione, il design, e, soprattutto, l’attenzione verso il valore aggiunto tecnologico creato da cospicui investimenti in ricerca & sviluppo.