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 2010  dicembre 23 Giovedì calendario

L’UTOPIA REALE DEL MOTORE NEUTRALE

Google come la vecchia Microsoft, un monopolista teso a favorire se stesso e i propri servizi. L’accusa non è leggera: sotto i riflettori c’è l’algoritmo che ha reso ricchi Brin e Page, ma il sospetto è di giocare sporco. Sulla scorta della denuncia di Ciao (Microsoft), Foundem e Ejustice.fr, l’Antitrust europeo a fine novembre ha aperto un’indagine per abuso di posizione dominante per capire se davvero vengono favoriti nel posizionamento dei link i servizi "interni" come Google Places, Google Health e Google Finance. Critiche anche negli Stati Uniti tanto da spingere il dipartimento di Giustizia ad aprire un fascicolo sull’acquisizione di Ita Software (700 milioni di dollari), un’azienda considerata talmente innovativa da spostare gli equilibri nel settore del booking aereo a favore di Mountain View. Per l’occasione Expedia (Microsoft), Kayak.com e Farelogix si sono alleate in un consorzio dal nome emblematico FairSearch.org. In ultimo a gettare ulteriore benzina sul fuoco ecco il Wall Street Journal che in un lungo articolo raccoglie le proteste di piccoli motori verticali che temono di venire tagliati fuori dalle ricerche su Big G. Tra questi TripAdvisor.com dichiara di aver perso il 10% del proprio traffico e decide di limitare i propri contenuti su Places.

«Google apporta spesso nuove modifiche a Google Places – ha commentato Lorenzo Brufani, portavoce di TripAdvisor in Italia –, ma a nostro avviso tali aggiornamenti non sembrano andare a favore degli utenti impegnati nella ricerca dell’hotel giusto. Uno dei risultati del cambiamento dell’algoritmo è che molti link che si trovano in cima alla classifica sono ripetuti ed è più facile confondersi nella valutazione dei risultati. Questo approccio poi favorisce un posizionamento più alto dei Google Places nonostante la loro superiorità e rilevanza sia discutibile». Il problema quindi non sarebbe tanto l’algoritmo o i risultati – Google distingue tra link sponsorizzati e i risultati indicizzati in base alla rilevanza –, ma la rappresentazione dei link relativi ai propri servizi. La difesa di Google, dal suo blog, si riassume in poche ma chiare affermazioni. «Siamo a disposizione delle autorità inquirenti; la competizione è garantita dalla possibilità di cliccare e usare un altro servizio»; e soprattutto: «noi abbiamo costruito Google per gli utenti e non per i siti».

Quest’ultima affermazione ha innescato un dibattito più ampio. Come s’inquadra l’abuso di posizione dominante quando è chiamato in causa un inventore di tecnologia del web? Che peso hanno i motori di ricerca nel sistema dell’innovazione? Ma più di tutto: che cosa rappresenta Google e cosa intende diventare nel futuro? Per rispondere occorre partire dai "fondamentali": il colosso di Mountain View di mestiere offre servizi di ricerca traendo gran parte dei suoi introiti dalla pubblicità. Se è vero che parte degli investitori si stanno spostando sui motori verticali è lecito sospettare che Google possa aver scelto di valorizzare i link legati ai suoi nuovi servizi. Tuttavia, il motivo che spinge gli utenti a premiare Google è proprio la neutralità dell’algoritmo, l’indipendenza, la rilevanza dei risultati. Se davvero si dovesse scoprire che il gioco è truccato, molti non ci penserebbero due volte a rivolgersi ai concorrenti. Insomma, per Brin e Page sarebbe una scelta controproducente buona solo sul brevissimo periodo. Ciononostante, va ricordato, Google non è chiamato a rispettare alcun tipo di search neutrality. Non esistono obblighi se non quello dichiarato agli utenti di impegnarsi a distinguere tra risultati della ricerca sponsorizzati e quelli invece derivanti dall’algoritmo. Tocca fidarsi quindi. Ma evidentemente il tema non è riducibile solo a un dilemma normativo-commerciale.

Servizi che hanno a che fare con la conoscenza come appunto quelli offerti da un motore di ricerca possono assumere un interesse pubblico. L’indipendenza diventa più di un valore di business. Se questo è vero in che modo soggetti così importanti dovrebbero essere regolati? Blogger e giuristi sono divisi. Ma forse occorre prima interrogarsi sulla natura della tecnologia e sul mercato all’interno del quale viene sviluppata. «Se riduciamo i motori di ricerca a un servizio paragonabile alle pagine gialle rischiamo di arrivare a conclusioni riduttive» si legge in un paper lungimerante dal titolo «Is Google The Next Microsoft» scritto nel 2009 da Rufus Pollock, dell’Università di Cambridge. Il ricercatore si è posto il problema di studiare all’interno di un’unica equazione la relazione tra competizione, benessere e tecnologia, giugendo alla conclusione che il mercato dei motori più di altri tende alla concentrazione. «Gli utenti sono interessati alla qualità ma non devono pagare, invece gli investitori pubblicitari (che finanziano i motori di ricerca, ndr) sono interessati agli utenti ma devono pagare per raggiungerli». Lo squilibrio tra i due soggetti condiziona la crescita di un mercato che non è solo merci e consigli per gli acquisti. Come le tv private (senza canone) i motori di ricerca sono un business alimentato prevalentemente dalla pubblicità, ma come i giornali lavorano con l’informazione, sono strumenti per accedere a fonti della conoscenza e in quanto tale rivestono un interesse pubblico. Questa ambiguità riflette la natura più generale, innovatrice e ribelle del web e di suoi attori. E rende particolarmente ostica se non utopica l’idea di un motore neutrale. Una ambiguità difficile da sciogliere sopratutto da chi è chiamato a vigilare sulle regole di mercato.