Gian Antonio Stella, Sette 23/12/2010, 23 dicembre 2010
PARABOLA CINESE
«Abbiamo deciso di comprare qui la casa. Trovare qui lavoro. Una volta abbiamo pensato di tornare in Cina. Ma non riusciremmo a stare al passo dei cinesi in madrepatria. La Cina ormai è più sviluppata. Là non riusciremmo a essere competitivi». La confessione a un’amica di una signora cinese nella sala d’aspetto di un ambulatorio dell’Ospedale dei Bambini Vittore Buzzi di Milano contenuta nel bellissimo documenta- rio Giallo a Milano del regista Sergio Basso, dove si racconta la vita della comunità asiatica nel capoluogo lombardo, dovrebbe essere vista e rivista, vista e rivista, vista e rivista da quelli che Einaudi chiamava i padreterni a Palazzo Chigi, al ministero dell’Economia, al ministero dello Sviluppo economico, alla Camera e al Senato e a Palazzo Marino e alla Camera di Commercio ambrosiana e all’Assolombarda e più ancora nella sede della Lega Nord m via Bellerio. Perché nell’amarezza di quella donna, che ammette malinconica la sua rassegnazione a restare in Italia, a Milano, a migliala di chilometri da casa perché sa di non poter essere più competitiva in patria, c’è l’immagine del nostro Paese oggi più ancora che in mille saggi di economia: «Adesso per stare lì devi avere una bella testa. Qua lavoriamo sodo ed è sufficiente. Se fossimo in Cina non riusciremmo a stare al passo». E parla di Milano. Non di Lamezia Terme, Agrigento o Caserta.
Silvio Berlusconi può raccontare fin che vuole nelle sue mirabolanti descrizioni di un’Italia che sta uscendo dalla crisi meglio di tutti gli altri. Può insistere finché vuole sull’idea che «i media e l’opposizione, invece di dire che "il peggio è passato", preferiscono essere "catastrofisti", alimentando così una crisi che ha origini soprattutto psicologiche». Non basta mettersi davanti allo specchio e ripetere a se stessi «Marina, cume te se bela» come faceva sua zia Marina, che cita continuamente, per esserlo davvero. Non basta.
Per guarire da un cancro occorre la consapevolezza d’essere ma-
lati. Non c’è amore nel dottore che mente consolando il malato: c’è la cecità di chi lo avvia alla metastasi. Le classifiche internazionali, nella loro brutalità, sono implacabili. O l’Italia si rende conto di quanto sta succedendo nel resto del mondo e decide di accelerare per recuperare il terreno che sta perdendo da anni, e in fretta, o il futuro è a tinte fosche. E va detto. Proprio per amore. Quanto agli immigrati, dicono le ultime statistiche che sono circa un tredicesimo della popolazione ma producono quasi un nono della nostra ricchezza. Se fossero lombardi se la tirerebbero: «Ecco, noi qui a lavorare e gli altri mangiano! Produciamo molto di più di quanto riceviamo!». Vale la pena di recuperare il consiglio di Renzo Arbore in una lontana pubblicità: meditate, gente, meditate...