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 2010  dicembre 23 Giovedì calendario

NOSTALGIA DELLE BUONE MANIERE

Ma le buone maniere dove saranno mai finite? In apparenza è solo una banale questione di bon ton, di rimpianti per un mondo che si identificava nei suoi formalismi: l´eterna borghesia, con le sue eterne velleità aristocratiche (e vai a sapere se sarà poi esistita davvero).
A ripensarci, però, fra l´etichetta e l´etica si apre uno spazio che è semplicemente denominabile come stile, e lì ognuno si sceglie il suo. Non si può mancare di rilevarlo, giunti all´ultima e stremata settimana dell´anno delle vaiasse e della polenta & coda alla vaccinara (menu di quel certo banchetto che a ottobre, in piazza Montecitorio, ha celebrato una pace o tregua fra il sindaco di Roma Gianni Alemanno e il ministro per le riforme Umberto Bossi, in autoconvocata rappresentanza dei popoli romani e lombardi).
I modi di Giovanni Spadolini, l´umiltà tormentata di Benigno Zaccagnini, l´oltranza sintattica di Palmiro Togliatti, lo scrupolo equilibristico di Aldo Moro: le buone maniere sono state in passato al servizio di una concezione della propria identità pubblica forse formalmente ipocrita ma certo sostanzialmente rispettosa. E poi come distinguere forma da sostanza? Fosse stata anche puramente ipocrita, dai sepolcri imbiancati della Prima Repubblica a quelli profanati dai titolari stessi di molte istituzioni odierne, quale sarebbe stato, allora, il guadagno? La conduzione del Senato di Rosi Mauro; le aggressioni verbali - al limite del fattuale - di Ignazio La Russa; la prammatica del turpiloquio; i buu e le mortadelle da emiciclo; la sopraffazione di senatori a vita vicini al centennio; la pernacchia non solo morale ma proprio visibile e udibile; il cachinno e le corna; lo sfregio all´avversario; il dito medio, nel 2005 esibito da Berlusconi in un comizio a Bolzano (al culmine di una barzelletta narrata «per svelenire il clima» ) e oggi franca ostensione con cui Umberto Bossi surroga quasi del tutto il linguaggio verbale, e anche dal finestrino dell´auto blu ... . Depositati nei repertori memoriali di Blob e Cafonal, mille aneddoti testimoniano l´abbassamento vertiginoso delle usanze (gestuali e linguistiche, private e pubbliche, personali e politiche, di forma e di sostanza) messe in opera o meglio esibite da chi ci rappresenta e che, di conseguenza, nel più frusto dei luoghi comuni genitoriali, «dovrebbe dare il buon esempio».
Al campo di una mala educazione così dilagante da essere forse divenuta il sostituto definitivo di quella buona, andranno ascritte anche quelle reattività dispettose di totale infantilismo (cicca bum!), che oltrepassano la soglia simbolica del «Non sono più tuo amico» e «Non sto più con te», dichiarazioni letterali tipiche del mondo ex-democristiano (Casini, Mastella, Follini...). Proprio l´infantilismo è certo una chiave di lettura. «Ricordate che il nostro pubblico è formato da dodicenni che alla scuola media non sono neanche nei primi banchi»: era un principio che Silvio Berlusconi insegnava ai promotori di Publimedia. Il tycoon in seguito ha cambiato mestiere, ma non idea. Chi se la sente di chiedere la buona educazione ai bambini? Urlano, e si dà retta a chi urla di più.
Parlare a voce bassa, lasciare corso alle argomentazioni dell´interlocutore, evitare espressioni che costui o costei potrebbero trovare offensive, non invaderne lo spazio fisico, non parlare troppo di sé, non ostentare le proprie fortune: non è un manuale per debuttanti in società; è lo standard che almeno in passato ha designato un modo di essere al mondo. Lo si trasmetteva nelle scuole e lo si manifestava nelle occasioni pubbliche, come codice innanzitutto di rispetto reciproco. Enunciarlo adesso, implica immediata censura: «Sei vecchio!» (battuta che si risolve in un´altra pesante forma di maleducazione). Eppure in quella nozione di civil servant di cui l´aggettivo «civile» era parte integrante e qualificante (e che è ricorsa nei giorni scorsi in ogni ricordo di Tommaso Padoa Schioppa) non si esplica solo un galateo ma anche un´idea di rapporto con il pubblico e il prossimo.
Il modello del politico che aspira a essere ritenuto un gentiluomo e che perciò parla un italiano corretto e non va mai troppo sopra il rigo è stato sostituito da un tipo di individuo pieno di idiosincrasie, che non va infastidito, che può sbottare e «sbroccare» a ogni momento e rappresenta sempre le istanze di qualcun altro (la gente, gli italiani, il popolo, i produttori, i buoni, quelli che noi non siamo mai). Il tutto a favore di telecamera, con precise ritualità e ineluttabili ricorrenze. Quindi, apposta per noi. A giudicare dagli esiti di sondaggi e elezioni, funziona.