ANGELO AQUARO, la Repubblica 23/12/2010, 23 dicembre 2010
IL PIL USA CONFERMA LA CRESCITA MA È ALLARME SUL CARO PETROLIO - NEW YORK
La crisi è finita ma non è ancora tempo di andare in pace. Il Pil americano cresce più del previsto, anche se di pochissimo, 2,6 per cento invece del 2,5 per cento previsto nel terzo trimestre. Ma il petrolio che torna sopra i 90 dollari e ora punta su quota 100 è un segno bifronte di ripresa e rischi di inflazione: per non parlare del prezzo che il consumatore potrebbe presto pagare alla pompa.
I dati si riferiscono al periodo luglio-agosto e la cosa che colpisce appunto positivamente è questa: la ripresa continua. Le paure portate dalla crisi monetaria in Europa e la fine dello stimulus, pure criticato, di Barack Obama, che in primavera avevano frenato l´uscita dalla recessione, sono ormai alle spalle. Wall Street lo sa bene. E malgrado i bassi volumi degli scambi, visto che siamo già alla vigilia di Natale, tutti gli indici guadagnano: dal Dow Jones al Nasdaq allo Standard & Poor´S. A trascinare la Borsa, oltre ai dati sulla vendita delle case esistenti finalmente buoni, sono soprattutto le banche: con Bank of America che alla faccia delle minacce di rivelazioni di WikiLeaks sale del 2,9 per cento, incassando gli sforzi di razionalizzazione delle esposizioni sui mutui.
Sì, per la verità gli analisi avevano previsto una crescita del Pil del 2,9 per cento. E il vero dato da tenere d´occhio è quello dei consumi, che negli Usa costituiscono il 70 per cento della domanda, e sono cresciuti solo del 2,4 per cento rispetto al 2,8 pronosticato. Ma la svolta è confermata. E gli esperti stanno già guardando al risultato complessivo dell´anno, confortati dalla forte spinta dalla vendita al dettaglio di novembre, che dovrebbe essere confermata dai dati per le spese di Natale.
Così questo 2010, che rischiavamo di congedare con un´angosciante tasso di crescita fermo al 2,6, alla fine potrebbe regalarci la sorpresa di un bel 3 per cento. Che ovviamente non è ancora quel 3,5 atteso come misura di sicurezza e superamento dell´emergenza. Per riassorbire il 10 per cento di disoccupati, poi, l´economia Usa dovrebbe volare oltre il 5 per cento. Troppo lontano. Anche perché le imprese, che l´abbassamento del costo del lavoro ha gonfiato di profitti, continuano a dormire su un materasso di cash invece di rilanciare investimenti e occupazione. Ma i tagli alle tasse, il rinnovo dei benefici per i disoccupati e l´impegno della Fed a comprare la fiducia degli americani al modico prezzo di 600 miliardi in buoni del tesoro - favorendo così le esportazione del dollaro più debole - lasciano sperare per l´anno che verrà.
E il petrolio? Da metà novembre il prezzo al barile è salito del 13 per cento. Le grandi compagnie fanno naturalmente il loro gioco: la riduzione del prodotto sulla piazza è dovuta anche all´abbassamento delle scorte per evitare i carichi di tasse di fine anno. Ma è indubbio, dice al Wall Street Journal Phil Flynn, un´analista di PFGBest, che ci ritroviamo di fronte a una ripresa, negli Usa e altrove, della domanda, dopo il crollo delle richieste durante la recessione. Metteteci la sete della Cina e quota 100 al barile s´intravede già dietro l´angolo. Con le incognite che seguiranno.