PAOLO GRISERI, la Repubblica 23/12/2010, 23 dicembre 2010
SE IL MOVIMENTO VUOLE UN FUTURO DICA BASTA A VIOLENZA E VECCHI SLOGAN" - TORINO
Se il movimento degli studenti vuole declinare come quelli che lo hanno preceduto negli ultimi decenni, non ha che da scegliere la strada della violenza e dell´attacco a tutti coloro, come Roberto Saviano, che la condannano. Sergio Chiamparino è netto nel giudizio sui fatti accaduti ieri anche nella città in cui è sindaco. Non solo gli assalti alle librerie Mondadori e alle sedi del Pdl, ma anche slogan di attacco allo scrittore che nei giorni scorsi aveva condannato alcune manifestazioni estreme del movimento.
Sindaco Chiamparino, come giudica il movimento degli studenti di queste settimane?
«È certamente un movimento che esprime un disagio. E, a differenza di altre volte, quel disagio non riguarda solo chi va a scuola o all´università ma coinvolge tutti quei giovani che cercano un lavoro e non lo trovano. La condizione di precarietà che accomuna studenti, ricercatori e ragazzi in cerca di occupazione rischia di essere uno dei limiti principali allo sviluppo della nostra società perché frena la possibilità delle giovani generazioni di progettare e scommettere sul loro futuro».
Un movimento potenzialmente molto ampio?
«A certe condizioni sì».
Che cosa deve succedere perché le manifestazioni di questi giorni aumentino i consensi?
«La questione centrale riguarda quelle che una volta si chiamavano le forme di lotta. È un punto decisivo. Se io esercito violenza è difficile che i consensi aumentino. Chi organizza cortei per bloccare le autostrade o le stazioni ferroviarie, così come chi organizza la guerriglia nel centro di Roma alla vigilia di Natale non può attendersi che salga il consenso nell´opinione pubblica».
Lei sa che per aver detto queste cose Roberto Saviano è stato attaccato anche ieri dagli studenti torinesi? Gridavano: «Roberto Saviano fatti i fatti tuoi, alla riforma ci pensiamo noi».
«Chi gridava quello slogan, cosi come chi ha fatto irruzione alcune settimane fa nel municipio di Torino protestando contro la mia condanna della violenza, è persuaso che il movimento debba richiudersi in se stesso. E condanna le proteste di questi giorni a ripercorrere la strada delle decine di altri movimenti che in questi decenni hanno attraversato le scuole e le università: movimenti che si gonfiano in autunno, raggiungono il massimo del consenso intorno a Natale e poi si sgonfiano in primavera dopo che una parte dell´opinione pubblica è fuggita spaventata da certe pratiche violente».
C´è una strada diversa secondo lei?
«Certo, la strada di chi oggi è salito al Quirinale, ha incontrato il presidente Napolitano e ha presentato civilmente un elenco di richieste e di problemi che la riforma in discussione in Parlamento provoca. Questa, quella del dialogo e del confronto, è la strada che, a mio parere, allarga il consenso nella società e che può garantire al movimento di queste settimane di superare la boa di fine anno rafforzandosi e non declinando».
Non tutti a vent´anni sono disposti a seguire la strada da lei suggerita. Lei come si comportava a quell´età?
«Ricordo perfettamente quel bivio. Frequentavo Economia e commercio, una facoltà dove non era facile essere di sinistra perché il mazzo in mano ce l´avevano i fascisti. Un gruppo di noi cominciò ad attaccare manifesti con disegni di bare e slogan truci. Erano, a Torino, i primi gruppi che poi avrebbero dato vita a Potere Operaio. Noi scegliemmo una strada diversa, cominciammo a confrontarci con i partiti della sinistra. Magari una sinistra radicale, come sarebbe stato lo Psiup, ma una sinistra che allora aveva un riferimento nella società».
Ricorda un episodio particolare in quel periodo?
«Avevo 21 anni quando ci furono gli scontri tra operai Fiat e polizia in corso Traiano, a Torino. Era il luglio del ‘69. Ad attaccare gli agenti erano soprattutto nuclei di "teppa da bar", gente che io conoscevo perché frequentava la periferia dove abitavo io. Ci ho pensato in questi giorni vedendo le immagini del centro di Roma: è chiaro che ci sono gruppi che sfruttano queste situazioni in modo violento. Per questo è decisivo che un movimento sappia isolarli».